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Incunambolo

Normalmente con incunambolo intendiamo ogni volume a stampa pubblicato prima del 1500. Il termine trae origine dall’espressione ìincunambula typographiae’, letteralmente le fasce, la culla della stampa, contenuta nel titolo del primo catalogo generale di opere a stampa del Quattrocento (Incunabula typographiae sive catalogus librorum sciptorumque proximis ab inventione typographiae annis usque ad annum Christi MD inclusive… accurante Cornelio a Beughem Embric, Amstelodami 1688), anche se il van Beughem non fu certi il primo a servirsi di tale espressione metaforica (l’usò per esempio il Labbé nel 1653). 

Nella sua accezione specifica comunque, il termine ha fatto in realtà il suo ingresso nelle lingue europee solo a partire dall’Ottocento: in francese, per esempio, ‘incunable’ è attestato dal 1802, mentre in italiano si deve attendere il 1869 (C. Minieri Riccio, Catalogo di novantotto rari libri incunaboli, Napoli 1869).

L’apparizione a Magonza tra il 1454 e il 1455 del primo libro a stampa, la Bibbia latina detta ‘mazarina o di 42 righe’, e poi degli altri primi capolavori di Gutenberg, del suo assistente Johannes Fust, e di Petrus Schöffer, segna un evento davvero epocale. Da un punto di vista formale e al contempo storico va innanzi tutto detto che il paradigma dichiarato degli incunaboli è, naturalmente, il codice manoscritto, che viene imitato i tutti i dettagli, dalla scelta della scrittura all’impostazione della pagina, all’uso di iniziali decorate o miniate, alla numerazione dei fogli e alle sottoscrizioni. Non è infatti un caso che gli umanisti del Quattrocento, ingenerando talvolta fraintendimenti tra i posteri, chiamino ‘codex’ sia il libro manoscritto sia quello a stampa, distinto talora con l’etichetta di ‘codex vulgatus’ soltanto a partire dal Quattrocento (nel Poliziano, infatti, dove pure l’espressione è frequente, non ha ancora valore specifico). Sintomatico, d’altra parte, della mancanza di una terminologia apposita è il primo colophon stampato, quello del Psalterium latinum di Fust e Schöffer.

Assai diffusa era poi l’idea l’idea che il ‘codice a stampa’, nonostante l’impiego inizialmente frequente di materiali pregiati come la pergamena, fosse un prodotto affatto inferiore rispetto al manoscritto che fino a Cinquecento inoltrato costituì senza dubbio il libro di lusso per eccellenza: un monarca colto e bibliofilo come Mattia I Corvino re d’Ungheria, infatti, oltre a raccogliere incunaboli, contribuì lui stesso alla diffusione della stampa ordinando l’allestimento di numerosi volumi, tra cui il celebre Breviarum Strigoniense (Venezia 1480; Copinger 1317; GW 5468). 

Se, come si è detto, le caratteristiche formali dell’incunabolo sono in genere le medesime del codice, bisogna tuttavia fare alcune precisazioni. Per quanto concerne il materiale scrittorio, inizialmente è soprattutto la pergamena a essere impiegata, come lo è in tutti gli esemplari pervenutici della Bibbia di 42 righe e del Salterio del 1457 citati, uso che perdurerà ancora a lungo ma limitatamente alle sole rare copie di lusso, mentre la più pratica ed economica carta diviene presto il supporto normale. 

Testi consultati:

D. FAVA, Manuale degli incunaboli, Milano: 1939;

Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d’Italia, Roma: 1954;

A. CIONI, Nuove giunte e correzioni all’indice generale degli incunaboli; Firenze 1963.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
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