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Talian, Il nostro volgare

Per Antonio Alberti

Ripensando al vasto studio di Dante sui volgari europei (slavi e tedeschi; área greca; italiani) spesso mi sono chiesto come avrebbe valutato il nostro Talian, a Che livello lo avrebbe posto, Lui cosi minuzioso e pignolo quando si trattava di lingue.

Dante, specialmente per noi Toscani, è Dante e basta, il cognome Alighieri è inutile. È da tutti conosciuto solo per nome. Un uomo che ha sofferto le pene dell’esilio, perseguitato a causa delle sue idee politiche. Passando lunghi anni pellegrinando, lontano dalla sua Firenze.

Abbiamo chiesto il parere su questa nostra lingua a diverse persone e ci siamo scordati di Lui.

I pareri di questi competenti sono stati i più svariati. Buona parti ci consigliò a non perdere tempo per salvare un dialettino come il nostro; un’autorità italiana ci disse la stessa cosa, aggiungendo “perché star dietro ad un dialettuccio locale quando noi possediamo la bella lingua del doce si”.

Io risposi con un articolo nel libro “Cari scoltatori”, dimostrando che per noi, qui nel Rio grande, questo dialettuccio era una lingua neolatina parlata da 120 anni (oggi 131), que portata dai nostri emigranti.

Per poter avere un’idea di come Dante avrebbe trattato il Talian, ho cercato di riportare alla mia mente i suoi giudizi sui volgari e dialetti peninsulari ed intendere il suo pensiero su questa materia. E per far questo mi sono servito dei ricordi, rimasti nella mia mente, di una antica lettura di 50 anni fa, del suo trattato “De Vulgari Eloquentia”.

Egli afferma che un volgare o un dialetto, è più nobile delle lingue di cultura, della lingua grammaticale, incluso il latino, perché essa è naturale per tutti. È la prima ad essere usata. I bambini I’apprendono in casa, da quelli che gli stanno attorno.

È però una lingua corruttibile, soggetta a modifiche. Quindi non stabile. Senza regole. Si modifica nello spazio e nel tempo. Per questo esistevano in Italia, ai tempo di Dante, 14 volgari principali, e tantissimi derivati, dialetti o volgari minori, che dovevano largamente superare i 1000. possiamo dire che la lingua naturale si modifica per strada. O meglio si modifica ed è disuguale da una strada all’altra nella stessa cittá, nello stesso villaggio. Io ho vissuto questa situazione: da un lato di una strada si parlava il montignosino, dialetto derivato dal massese (provincia di Massa), dall’altra parte della stessa via, il toscano di Lucca. Quache chilometro a ovest il massese, un poco più in là il carrarino.

La lingua grammaticale, che possiamo chiamare di seconda lingua, è una lingua ordinata, regolata da norme chiare, letteraria, che non soffre modifiche, ed è amministrata da dotti.
Ricca di bella prosa, poesie e canzoni e documenti, il tutto scritto. Possiamo dire che ha un’origine artificiale. Ben differente dalle parlate volgari (del volgo).

Danta si sofferma lungamente sullo studio dei volgari italiani.

Passa in esame le innumere parlate della penisola, como già detto sopra, alla ricerca del volgare illustre, aulico, eccelso o cardinale, como classificava lui, che avrebbe potuto avere la supremazia su tutti gli altri e da usarsi come lingua comune per tutta la penisola. Per facilitare il suo lavoro forma un’Italia dialettologa divisa in due parti, separate dagli appennini. Con le spalle al nord, quella di destra e quella di sinistra. Quella di destra dava sul tirreno e l’altra sull’Adriatico.

Sulla destra abbiamo parte dell’Apulia, il Lazio, Ducato di Spoleto, la Toscana, la Marca di Genova, la Sicilia e la Sardegna.

A sinistra il resto dell’Apulia, la Marca di Ancona, la Romagna, La Lombardia conl’Emilia ed il Ferrarese, la Marca Trevigiana, Venezia, il Friuli e I’Istria.

Le lingue naturali variano sensibilmente in ciascuna di queste due parti, sia nelle forme principali, che chiareremo volgari principali ed in tutte le innumere appendici, che denomineremo volgari secondari o dialetti. Così gli Apuli, Siciliani, Romani, Toscani, Trevigiani, Veneti, Genovesi, Spoletini, Anconetani, Calabri, Sardi, Lombardi, Friulani, Istriani, ciascuno di loro ha una parlata principale differente, che poi si suddividono in tante altre diverse da città a città ed infine da strada a strada.

Vediamo a seguire cosa pensava il Poeta degli Italici volgari e di chi li parlava:

I Toscani: li ha sopraffatti un’onda d’imbellicità e tantano di rivendicare a sé il monopolio del Volgare illustre (n.a. questo perché dotti eccelsi, in gran numero, hanno lasciato importanti vestigi nel campo letterario). Ma lui li sbatte in un livello inferiore del volgare, quello municipale o del popolo).

Buta per terra i vari dialetti della Toscana, il fiorentino, il pisano, l’arentino, il lucchese e cosi via.

Del genovese neanche parlarne. Un volgare strapieno di Z.

Il romagnolo: in unna zona con parlata molle e strascicata quasi femminile: in un’altra irsuta e rozza.

Né i vicenitni, bresciani, bergmaschi, veronesi, trevigiani e veneziani possano dichiarare illustre il loro volgare. Sebbene il veneziano sia lingua soave a parlarsi. Il friulano “eccelsamente brutto”.

Dei romani: non dovremmo neanche prenderli in considerazione in nessun stagio del volgare. Dell’Italia è senza dubbio il più brutto.

Eliminiamo le brutture del parlare della Marca di Ancona: del ducato di Spoleto.

Scartiamo i milanesi e i bergamaschi ed anche i torinesi e tutti i vicini. Lingue prettamente straniere.

Eliminiamo anche gil istriani.

I sardi, come i siciliani non sono italiani ma solo associati. I sardi imitano ancora il latino e dicono ancaro “Domus nova” e “Dominus meus” (casa nuava e mio padrone).

Il siciliano ebbe splendore nella corte di Federico e poi di Manfredo. Li sorse la poesia inclusi. Ma adesso non merita di chiamarsi eccelso. Troppo chiuso e strascicato.

Trova queollo dei bolognesi il miglior volgare medio. Hanno assorbito gli elementi migliri dalle lingue dei loro vicini: dagli imolesi, morbidezza; dai ferrares e modenesi un  giusto livello di asprezza. Ne è uscito fuori un volgare soave degno di lode. Il più bello di tutti.
Ma neanche questo arriva ad essere illustre.
Quelle di Trento, non è Italiano.
Finalmente il volgare Toscano o meglio fiorentino é diventato egregio, cioè è risaltato, siè distinto dal grande gregge di lingue e dialetti della penisola. Ben strutturato, liberato da rozze parlate, e da tante scorrettezze linguistiche. Ripulendo la selva italica da cespugli (mitas) dialettali, fino ad arrivare a quel volgare illustre che oggi usiamo. A questo punto

Dante non c’era più.

Alla luce delle considerazioni sopra, possiamo dire che il nostro Talian ha una formazione simile a quella della lingua peninsulare. Prendendo come base i componenti della grande immigrazione, possiamo affermare che linguisticamente appartenevano, o provenivano, quasi totalmente dala banda linguistica sinistra dela penisola – parlando preminentemente volgari e/o dialetti veneti, vicentini, friulani, lombardi, emiliani. Queste erano le prime lingue da loro parlate. Si trattava di volgari e dialetti inferiori, municipali. Pochi si esprimevano nel volgare Italiano. Avevamo anche qui aree linguisticamente differenti da linea a linea nelle prime 3 colonie ufficiali. Più accentuata era la differenza linguistica tra queste e la quarta colonia nata in Silveira Martins.

Il convivere in stretta vicinanza di questa babele di lingue, ha portato con il tempo alla formazione di un volgare predominante, anche se non egregio.

Como accadde con il bel volgare Bolognese, si ebbe una trasmigrazione di parole o di maniere differenti di pronunziare una stessa parola, in direzione ad un volgare/dialetto principale delle nostre colonie qui nel Rio Grande.

Con il tempo questo volgare cominciò a strutturarsi, si formarono delle regole, specialmente nella sua pronunzia e nella sua scritta. Nacque la grammatica, un dizionario. Nacque cosí il Talian grammaticale. Fatto per essere duraturo, credo che ci arrivò. Questo lo dobbiamo a dotti che regolarono il Talian, lo usarono di forma egregia in prose, poesie e canzoni. Frei Achille Bernardi, Rovilio Costa, Luzzato, Julio Posenato, Paolo Massolini, Santi, Tonial, Battistel e altri.

Questa deve essere pertanto la nostra lingua naturale. Naturalmente quella grammaticale será senz’altro il portoghese. E poi l’italiano.