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Il sistema totalitario

L’assetto politico che alcuni paesi europei assumono nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali come risposta estrema alla crisi delle liberal-democrazie trova una sua sedimentazione teorica nel concetto di totalitarismo.1 Per comprendere il totalitarismo, è necessario tenere a mente una sola cosa: il totalitarismo rappresenta la negazione più radicale della libertà. Il totalitarismo è mosso dalla volontà di far scomparire ogni forma di pluralismo reale e legale, annettendosi un potere sulla società che non conosce limitazione alcuna. Inoltre, il totalitarismo non si limita a ottenere obbedienza, a differenza dell’autoritarismo, non si accontenta di poter agire indisturbato tra il silenzio dei cittadini. Esso vuole andare oltre, vuole legittimarsi ottenendo il consenso delle masse, ponendo le sue radici nelle parti più profonde della società. Affinché il totalitarismo riesca ad affermarsi, deve mobilitarsi in tutti i settori della società, con lo scopo di ottenere l’adesione, la partecipazione e soprattutto la convinzione dei cittadini. Per raggiungere questo scopo, occorre una propaganda ideologica ben mirata, in grado di far pressione sulle masse. Il totalitarismo diventa così il mezzo di diffusione di una nuova ideologia che si presenta rivoluzionaria e in rottura con il passato, in grado di immette una potente carica sovversiva istituzionale e capace di promuovere un nuovo sistema di valori. Tuttavia, più che soffermarsi sulle vicende storiche che portarono a questa situazione, è opportuno indagare sulle dinamiche che hanno facilitato la sua realizzazione. Spesso nella storia per riuscire a capire un determinato fatto storico si ha bisogno di fare un passo indietro e concentrarsi sul contesto in cui avvengono determinate cose; in quanto la storia ci insegna che nulla accade per caso e ogni conseguenza delle nostre azioni è semplicemente complice dei fatti.

Gli effetti di un sistema totalitario

L’ideologia totalitaria considera gli esseri umani nella loro individualità come strumenti e mezzi per realizzare un grande disegno politico. Himmler, per esempio, chiede ad ogni SS “il sacrificio totale della personalità nel compimento del dovere verso la nazione e la patria”; così tutti coloro che militano sotto un regime totalitario, devono essere pronti a sacrificare loro stessi in nome di una causa più grande. Per questo motivo, potremmo considerare le dottrine totalitarie come antiumanistiche, poiché la prassi totalitaria prevede che l’essere umano venga considerato come un mezzo e non più una persona vera. In questo modo, infatti, gli individui vengono trasformati in ingredienti per un progetto più ampio. Data tale visione degli individui, i regimi totalitari riescono a trasformare l’uomo rendendolo un soggetto devoto e pronto a rispondere ai voleri dei loro governanti. Perché per convincere un uomo a compiere certe azioni, non basta ordinarglielo ma bisogna influenzarlo e indottrinarlo, al punto da fargli credere che ciò che stia facendo sia davvero giusto. I sistemi totalitari, in questo senso, riescono a mettere gli uomini in un’ottica di lotta tra bene e male, con l'idea che tutto ciò che si trova dall'altra parte, tutto ciò che viene considerato “male”, debba essere eliminato. 

Pertanto il totalitarismo non è altro che un regime connesso a una società di massa, che cerca di annullare ogni possibile confine tra Stato, società ed esistenza privata; una modalità di gestione politica in cui un unico partito ha conquistato la struttura statale, imponendo un suo monopolio esclusivo del potere politico e della legittimazione. Il regime totalitario non è statico, non mira esclusivamente a una sua conservazione, a un rafforzamento dell’ordine e tantomeno rappresenta una modalità estrema e reazionaria di governo, esso solo ha la capacità di veicolare dinamiche rivoluzionarie, tanto ideologiche quanto istituzionali. Lo Stato totalitario, vuole concentrare sotto il suo controllo fisico e morale l'intera società, per trasformarla in una compatta organizzazione disciplinata, gerarchizzata e militarizzata, sottoposta all'assoluto comando del capo e nella quale il cittadino veniva sostituito da un “soldato politico”. Il regime totalitario, in questo modo, inizia ad ottenere il consenso della gente, cercando di conquistare il mondo interiore delle persone, usando mezzi come: la conquista dei fanciulli rispetto alla famiglia, la direzione della cultura morale e intellettuale, l'ossessione meccanizzata della propagando e lo sfruttamento della psicologica delle folle, sedotte dal senso dello smisurato, del colossale, in una sorta di “ubriacatura totalitaria”, che consentiva al capo di mobilitare tutte le risorse della nazione al suo comando. Uno Stato concepito e realizzato, che divinizzava la collettività, disumanizzando la persona umana.8 Il leader totalitario sente che è richiesto un solo uomo per portare avanti lo Stato e che tutte le altre persone, tutte le altre menti e volontà, sono completamente superflue. Tuttavia, non bisogna confondere il totalitarismo con una tirannia e tanto meno con alcune forme di dittatura moderna. Negli stati totalitari, né l’esercito, né la Chiesa, né la burocrazia si sono trovati mai nelle condizioni di poter gestire o limitare il potere; tutto il potere esecutivo è nelle mani della polizia segreta. Nessun gruppo o istituzione del paese è lasciato intatto, non solo perché tutti sono costretti a “coordinarsi” col regime ma perché alla lunga non è letteralmente previsto che sopravvivano. Il politologo Mario Stoppino, parla di un sistema totalitario caratterizzato da una fortissima mobilitazione dell’azione totalitaria nella società. Per Stoppino, le componenti costitutive del totalitarismo sarebbero: l’ideologia, guida del cambiamento radicale e l'interpretazione indiscutibile della storia; il partito unico, capace di politicizzare ogni tipo di attività o gruppo sociale e di subordinarli ai principi ideologici; il dittatore totalitario, depositario esclusivo della volontà totalitaria che potrebbe esercitare un potere pressoché assoluto sopra ogni istituzione del regime; il terrore totalitario, che legherebbe le masse all’ideologia, al partito ed al capo del regime attraverso un’adesione coercitiva. Mentre le condizioni che nel passato avrebbero reso possibile il totalitarismo sarebbero: la nascita di una società industriale di massa che avrebbe creato l’atomizzazione degli individui, l’urbanizzazione e la formazione culturale determinante per l’ingresso delle masse in politica; la coesistenza divisa tra le nazioni mondiali, che avrebbero investito tutte le loro risorse in una grande macchina bellica; lo sviluppo di una tecnologia moderna, che darebbe vita a strumenti di comunicazione di massa i quali permetterebbero la penetrazione dell’azione totalitaria nella società.

Carl J. Friedrich struttura il sistema totalitario in un modello di cinque facce, in quello che si potrebbe chiamare una società pentagonale o meglio, la distruzione pentagonale della società. Per la prima volta nella storia, un regime politico accumula cinque tipi di monopolio e ammaestra a favore della sua ideologia, lo Stato, la polizia, l’esercito, i mass media e l’economia. Questo fu possibile, secondo Friedrich, grazie all’operazione di indottrinamento compiuta dai regimi totalitari, capaci attraverso l’educazione di creare le giuste predisposizioni per la sottomissione dei cittadini alle volontà dello Stato. In questa maniera, l’accumulazione di tali monopoli a favore di una sola forza, conduce a una quasi scomparsa della società civile e una soppressione dell’Uomo, come individuo pensante che agisce con la propria testa. Il totalitarismo agisce con successo sulle società senza classi in cui predomina la massa. Sia nel sistema bolscevico che nazista la società è costituita da una massa senza personalità, priva della scintilla dell’individualità e sfiduciata del sistema pluralistico dei partiti che non sono più stati capaci di rappresentare le classi nella nazione. Il popolo non si interessa più di politica della quale si fa carico invece il movimento totalitario. La massa è sedotta dal sistema totalitario che agisce attraverso l’azione continua della propaganda, vero motore del movimento e capace di insinuarsi e raggiungere ogni spazio della società non ancora totalitario. La propaganda di regime disegna i due leader totalitari come degli eroi che, con le loro gesta, avrebbero salvato il paese dalla rovina. I totalitarismi sorgono dove pare impossibile alleviare la miseria politica, sociale o economica in una forma degna dell’uomo. Poiché il totalitarismo rappresenta l’invasione ultima dell’intimità di una persona, perché non c’è un limite tra la vita controllata dallo Stato e la sfera d’intimità di ogni persona.

Stalinismo e nazzismo

Le differenze tra stalinismo e nazismo, sono minimizzate; pur partendo da presupposti ideologici differenti, le cause del loro affermarsi si considerano identiche: forte centralismo statale appoggiato dalle masse, crisi della religione e della democrazia, sconfitte militari; tutti questi fattori sommati tra loro lasciarono campo libero a la formazione dei sistemi totalitari. Diverse sono le cose in comune tra i due sistemi totalitari, a partire dalla monopolizzazione di tutte le attività dei cittadini presenti nello Stato, pubbliche o private, appoggio delle classi sociali inferiori, in modo da unire tutte le classi; la sostituzione di una Chiesa di Stato a favore di un credo comune basato sulla difesa della patria e una rigida obbedienza a determinati dogmi dettati dal regime; ma soprattutto uno Stato oppressivo e accentratore che fa leva su personalità forti e che toglie autonomia a ogni istanza sociale e individuale. Un elemento che invece accomuna questi due sistemi totalitari è la capacità persuasiva di cui godevano entrambi i leader. Hitler, per esempio, fu in grado a più riprese di ordinare e determinare il livello di barbarie che avrebbe voluto compiere, attraverso discorsi pubblici intrisi di odio che diedero il via ad azioni di discriminazione contro gli ebrei e gli altri “nemici dello stato”. Da questo punto di vista, Hitler riuscì sempre ad avere un forte sostegno per le sue folli idee; e questo era un consenso che veniva dalla base del partito ma anche dagli stessi cittadini, i quali appoggiavano ciò che Hitler voleva. Da qui nasce l’idea di “lavorare a favore del Führer” per poter mettere in opera il suo mandato. Hitler riuscì a trasmettere una serie di motivazioni sociali, a volte contradittorie e in conflitto tra loro, che favorirono la promozione degli obiettivi nazisti strettamente connessi con le personali ossessioni ideologiche del dittatore. L’autorità carismatica di cui godeva Hitler può essere utile per spiegare i legami che egli aveva con le diverse forze sociali e politiche che gli permisero di liberarsi di ogni vincolo istituzionale e portare avanti la sua battaglia per l’egemonia in Europa. Gli uomini che lavoravano per Hitler seguirono ciecamente ciò che egli comandava di fare, perché credevano che ciò fosse giusto per la Germania. Anche sotto Stalin si agiva per il bene del partito con Stalin posto come guida, ma la devozione al partito bolscevica e alla causa comunista era già stata costruita in precedenza da Lenin. Stalin seppe a suo modo rafforzare il sistema del terrore sovietico e allontanare coloro che egli riteneva “nemici del popolo”. Ad ogni modo, il processo di realizzazione di un sistema totalitario, in entrambi i casi, non fu immediato: la Russia sovietica imboccò la strada del totalitarismo solo verso il 1930 e la Germania solo dopo il 1935. Fino a quel momento, entrambi i paesi, nonostante presentassero già un gran numero di elementi totalitari, potevano essere considerate delle dittature di partito unico.

Dalla Repubblica di Weimar al regime nazista 

Il crollo del precario equilibrio creato dalla Repubblica di Weimar fu terreno fertile per l’ascesa di Adolf Hitler e del suo movimento politico: il nazismo. La Repubblica di Weimar, era vista più come un’imposizione del nemico che come un mezzo per la rinascita del Paese. Essa non era in grado di poter ottenere lealtà e tanto meno fiducia da parte del popolo tedesco. In un primo momento ci si cercò di aggrappare al vecchio Maresciallo Hindenburg, dopodiché tutto crollò e si aprì un grosso vuoto in cui si fece strada Adolf Hitler. Il nazismo era rappresentato politicamente dal Partito nazionalsocialista dei lavoratori, fondato nel 1920 dallo stesso Hitler. L’ideologia nazionalsocialista si basava sull’idea nazista della superiorità della razza tedesca (ariana) e su un radicale nazionalismo che allo stesso tempo era capace di guardare agli interessi delle masse promuovendo una riduzione degli squilibri sociali. La caratteristica principale del nazismo, che lo rese un tipico esempio di totalitarismo, era l’organizzazione del movimento attorno alla figura del Führer, il capo carismatico del movimento nazista. Oltre a promuoversi come leader carismatico, Hitler, cercò di sfruttare la sua immagine di comandante in capo per ottenere consenso tra il popolo tedesco. Non a caso, fin dai primissimi tempi, ebbe un ruolo di grande rilevanza Heinrich Hoffman, fotografo personale del Führer, nonché, principale responsabile della cura della sua immagine; egli aveva il compito di far apparire Hitler come un condottiero della patria, attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione visiva: dai libri, alle fotografie, fino ai francobolli. Questo per sottolineare quanto la cura dell'immagine da parte del leader totalitario era fondamentale per il consolidamento del suo potere; il leader totalitario non doveva essere solo un comandante severo a cui obbedire senza fiatare, il leader totalitario, doveva essere un'immagina perfetta dentro la quale il suo popolo poteva sentirsi rappresentato. Tuttavia, l'importanza dei mezzi di comunicazione, non può far trascurare i fondamenti ideologici del nazismo, i quali furono la base per l'affermazione del movimento nazionalsocialista: la supremazia dei popoli superiori, delle razze superiori, su quelle inferiori; la comunità di popolo, la Volksgemeinschaft, in cui ebrei e dissidenti politici ne erano posti ai margini; l'antisemitismo e lo spazio vitale, Lebensraum, per garantire con l'ampliamento territoriale verso est lo sviluppo demografico, economico e sociale del popolo tedesco; e infine, il Führerprinzip, il principio secondo cui il Führer, era in cima alla piramide del potere, esercitando un comando unico e supremo sul movimento del partito. Pertanto, nazione e razza erano strettamente correlate: nel programma nazista di politica estera, infatti, prima bisognava liberarsi delle catene del Trattato di Versailles e poi iniziare l'espansione a est, dopo essersi garantiti alle spalle una vittoria militare sul fronte occidentale. Nel novembre del 1933 Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, definisce l’avvento del nazionalsocialismo “una rivoluzione totale” che ha come obbiettivo “uno Stato totalitario che abbracci ogni sfera della vita pubblica e la trasformi al fine di modificare completamente i rapporti degli uomini tra di loro, con lo Stato e con i problemi dell’esistenza”. Da lì a poco, il regime nazista iniziò le sue prime azioni totalitarie emanando il 15 settembre 1935, le leggi di Norimberga, che tolsero agli ebrei ogni diritto politico, proibendo anche i matrimoni misti, al fine di tutelare la purezza della popolazione di razza ariana. La vera persecuzione però cominciò il 9 novembre 1938, quando furono distrutti negozi, case e sinagoghe. E le azioni di violenza si ripercossero anche sulle stesse famiglie: centinaia di ebrei furono massacrati. Questa serie di violenze e soprusi furono battezzati come “La notte dei cristalli”.

Le interpretazioni

Esistono quattro diverse interpretazioni per cui si tentò di spiegare il movimento nazista e il suo radicamento in Germania. La prima è una spiegazione culturale: la Germania, traumatizzata per la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, entrò in una situazione di disorientamento con la rottura del sistema di valori, da cui, successivamente, prese forma il nazismo. Portata al suo limite, questo tipo di problematica conduce a spiegare il comportamento degli ufficiali delle SS, perché come si verificò al processo di Norimberga, non erano soggetti a qualche sintomo di infermità mentale, non si trattava di pazzia, bensì di un forte temperamento indottrinato dai proclami sulla razza pura germanica portati avanti da Hitler. C’era quindi il bisogno di una sorta di rivincita nell’animo dei tedeschi e la necessità di aggrapparsi a qualcosa, per non cadere ancora più in basso e questo “qualcosa” lo trovarono nel nazismo, capace di far breccia nella mente dei tedeschi convincendoli che ciò che si stava facendo poteva essere la strada giusta per la rinascita della Germania. L’altra spiegazione, è di tipo psicologico: i giovani tedeschi del decennio del 1930, avevano conosciuto nella loro infanzia l’esperienza traumatica della Grande Guerra tra il 1914 e il 1918 e la successiva sconfitta tedesca, scontrandosi duramente con la realtà di una Germania sconfitta e umiliata dal Trattato di Versailles. La crisi economica del 1929, non fece altro che peggiorare questa situazione, questo stato psicologico instabile e questo continuo bisogno di certezze, offrì a Hitler l’opportunità unica di risollevare gli animi dei tedeschi, puntando il dito proprio contro quei trauma d’infanzia che li avevano per sempre segnati. In questa maniera, il nazismo ha saputo rispondere alle insicurezze della massa, divise tra il desiderio di libertà e alla paura di poter disporre di questa libertà. In questo proposito, Erich Fromm fornisce una sua spiegazione sul concetto di libertà e sulle difficoltà dell’uomo, in quanto spiega come la libertà sia un grande valore, ma anche un grande peso con il quale l’uomo deve fare i conti; un peso, che diventa insostenibile per la maggioranza degli uomini, che cercano così di fuggire dalle responsabilità, rifugiandosi nel sadomasochismo, nell’autoritarismo o nel conformismo. E questa frequente e diffusa fuga dalla libertà spiega gli inquietanti totalitarismi del Novecento. Il problema fondamentale di tutto risiede nella ricerca di un’identità sociale nonché la necessità di appartenere a una comunità. Così la ricerca della libertà si trasforma nella sottomissione allo Stato, poiché il nazismo era in grado di garantire una sicurezza e una certezza di valori a cui potersi aggrappare. 

L’ultima spiegazione è di tipo sociologico: il nazismo rappresenta un compromesso tipico tra due élite con vocazione di potere, la consistenza tra un élite tradizionale agricola forte ma in declino e un élite moderna industriale ascendente ma ancora debole, quindi si forma una sorta di alleanza tra l’antica e la futura classe dirigente. E il nazismo ebbe la capacità di riuscire a colpare le distanze sociali tra le varie classi, unendo la nazione nella medesima causa. Dunque, il partito nazista è un partito di popolo, un partito radicato nel popolo e insieme un partito milizia, un movimento di giovani, un fenomeno dai caratteri quasi religiosi, che fece leva sulla crisi morale ed economica del paese; raccolse voti da tutti ceti, dai piccoli borghesi, agli artigiani, fino agli operai; e senza distinzione religiosa, cattolici e protestanti insieme.

Dalle radici del comunismo alle teorie leniniste

Prima di poter parlare del clima totalitario che si diffuse nell’Urss con la presa del potere da parte di Stalin, è importante capire i passaggi che coinvolsero il Paese a partire dalla Rivoluzione d’ottobre, fino al consolidamento del potere staliniano, poiché con il termine “stalinismo” si intende quel periodo della storia che non riguardò solamente l’Unione Sovietica, bensì tutto il movimento comunista a essa legato, che durò, a grandi linee, dalla morte di Lenin fino alla morte di Stalin.26 Si cadrebbe, dunque, nell’errore se considerassimo marxismo e “stalinismo” simili tra loro; più verosimilmente, potremmo dire che i due termini sono legati da un rapporto di causa-effetto. Per tale ragione, è giusto sottolineare come lo “stalinismo” non fu una deviazione della realtà del marxismo rivoluzionario e della rivoluzione comunista, ma fu una parte organica di queste rivoluzioni, una loro fase di sviluppo e un loro momento costruttivo. La civiltà liberale, secondo Marx ed Engels, era un sistema innaturale e perverso basato sullo sfruttamento degli interessi particolari che condannava gli uomini all’alienazione più totale. Partendo da questo presupposto, Marx ed Engels, capirono che l’unica possibilità per abbattere la società dell’Avere doveva passare attraverso una rivoluzione permanente, guidata da un élite di virtuosi, i quali, sopprimendo la proprietà privata, avrebbero restaurato l’ordine naturale delle cose. 

Ciononostante, il movimento comunista in Russia si differenziò rispetto a quella che era l’idea originale. La dottrina del proletariato, infatti, svolse nell’ambito del movimento comunista mondiale la funziona ideologica di mascherare il dominio di quella che sarebbe dovuta diventare la nuova classe proletaria. Così si arrivò a sostituire il pensiero originario di Marx con un’oligarchia carismatica che si era identificata con il socialismo scientifico per trasformare la dottrina nella legittimazione della dittatura del Partito comunista sulla massa proletaria. E fu questa la via che venne intrapresa dal bolscevismo nell’Urss. I bolscevichi erano dell’idea che si dovesse passare direttamente alla rivoluzione proletaria, bruciando così la tappa dello sviluppo capitalista e saltando direttamente dall’arretratezza contadina (la servitù della gleba era stata abolita solamente nel 1861) alla modernità industriale di un regime comunista. Da questo punto di vista, va ricordato che il raggiungimento del comunismo si realizza attraverso delle tappe ben definite: in seguito alla rivoluzione, in cui il proletariato conquisterà il potere politico, dovrà esserci necessariamente una fase di transizione definita “dittatura del proletariato”, durante cui deve avvenire una trasformazione radicale della società; in questa maniera, a uno Stato borghese, sostituirà uno Stato proletario e a una dittatura borghese si sostituirà quindi una dittatura proletaria. La dittatura del proletariato resta solamente una misura di transizione, destinata al superamento di sé medesima e di ogni forma di Stato. Solo dopo questa fase storica si potrà attuare il comunismo, che creerà una società senza classi. Inoltre, Lenin teorizzava la necessità di far in modo che la superiorità scientifica degli intellettuali sui proletari diventasse una superiorità politica. Egli giudicava gli operai con lo stesso metro di giudizio con il quale gli aristocratici giudicavano i loro soldati: questi potevano avere molte virtù, coraggio, disciplina, devozione, ma certamente non le qualità necessarie per partecipare all’elaborazione degli piani strategici. Per Lenin, la rivoluzione era una questione troppo seria perché fosse lasciata in mano a dei semplici lavoratori. Tutto o nulla fu questo il grido di battaglia da parte di un élite che si considerava “l’avamposto della rivoluzione” operante in un paese ottusamente legato a forme di vita barbare e pertanto insensibili ai suoi incitamenti e incapace di intendere i suoi messaggi; un élite che fantasticava nell’isolamento più totale ma con l’obbiettivo di liberare il popolo dall’alienazione e dall’oppressione zarista.

Testi consultati:

- Costa P., Arendt, H. Antologia. Pensiero, azione e critica all'epoca dei totalitarismi. Milano: Feltrinelli, 2011. Cap.10, Doc. 3336;
- Forti S., Totalitarismo, Alfabeto Treccani. 2014, cap. 1, Doc. 3;
- Gentile, E. Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi. Bari: Laterza, 2014;
- Graziosi, A. Stalin e il comunismo. Bari: Laterza, 2015;
- Guerrero, M. Le origini del totalitarismo di Hitler. S.L.: L'universale, 2014, cap.1, doc.129;
- Kershaw, I, Mosche L. Stalinismo e nazismo, dittature a confronto. Roma: Editore Riuniti, 2002;
- Ludwig, E. Tre ritratti di dittatori: Hitler, Stalin e Mussoloni. Roma: Gingko, 2013;
- Pellicani, L. La società dei giusti. Milano: Etaslibri, 1995;
- M. Stoppino, Che cos’è il totalitarismo. Roma:  Il Politico, 2008;
- Strada, V.  Lenin, Stalin, Putin. Studi su comunismo e postcomunismo. Milano: Mannelli, 2011;
- Tzvetan Todorov, Di fronte allo stremo, Milano, Garzanti, 1992,
- Vittorio Vidotto, Hitler e il nazismo, Bari, Editori Laterza, 2015

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
Email: eliosdoc78@gmail.com