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Immagini a confronto

La figura dell’archivista suscita a livello di senso comune immagini di vario genere; alcune ricalcano stereotipi di una letteratura di maniera, altre riflettono situazioni concrete e comportamenti diffusi.

C’e chi vede l’archivista come un personaggio miope ed ottuso, alle prese con regolamenti antiquati e con polvereose realta’ di altri tempi, e chi lo considera un tecnico-burocratico, intelligente intreprete di provvedimenti normativi e desideroso di dimonstrare doti di organizzatore culturale. C’e chi lo reputa custode geloso di un sapere documentario che viene svelato soltanto a pochi privilegiati, e chi lo ritiene consapevole responsabile dell’uso pubblico cui è destinata la memoria documentaria. C’e chi lo considera un esecutore di mansioni ripetitive che possono essere rivolte ai piu’ svariati fondi e contesti istituzionali di ieri e di oggi, e chi invece riconosce che per compiere buoni lavori di rioridnamento e di inventariazione non si puo’ passare con disinvolta superficialita’ dall’uso all’altro periodo storico, dall’una all’altra tipologia documentaria. C’e chi tende a considerarlo un addetto ai lavori esecutivi anche se di qualificata manovalanza, e chi lo ritiene collaboratore indispensabile, qualora si progettano e realizzano determinate iniziative culturali, oltre che in grado di eseguire in prima persona prodotti del tutto rispettabili.

L’archivista che si guarda allo specchio vede rifrangersi, sovrapporsi, deformarsi tutte queste immagini . Si sforza di cancellare quelle piu’ datate e stantie, di rafforzare quelle piu’ aderenti alla realta’ e alle esigenze dei nostri tempi di aggiungerne altre. Ma immagini antiche che si pensava sepolte unitamente ai contesti che le avevano prodotte, riaffiorano di tanto in tanto magari sotto altre sembianze; le immagini nuove stentano a prendere forma e sono tendenzialmente offuscate da chi,  a livello culturale e burocratico-amministrativo, del nuovo è sospettoso e diffidente.

Il fatto e’ che ancora oggi, non meno di ieri, l’archivista deve confrontarsi e scontrarsi sia con norme e prassi generali e settoriali che si sono venute stratificando, spesso in modo contraddittorio, all’interno degli apparati burocratici amministrativi cui appartiene, sia con problemi teorico-dottrinari e pratico operativi, elaborati nel passato e nel presente, relativi all’esercizio del suo mestiere. Ed e’ un mestiere con un proprio specifico “território” di competenza, ma non del tutto separabile da altri, entro i quali chi si occupa di archivi non puo’ non compiere sconfinamenti ed incursioni.

La figura dell’archivista conservatore di memoria storica, oggi come oggi lo intendiamo, deputato a svolgere un lavoro qualificato, fondato su un determinato sapere teorico-dottrinario e pratico operativo, ha stentato a trovare una propria specifica fisionomia. Non è stato facile riacquistare uno status e un ruolo abbastanza soddisfacenti, dopo lo “sbandamento” e “declassamento” che avevano colpito, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, chi degli archivi, in quanto memoria-autodocumentazione, si era in vario modo occupato.

L’incrinarsi prima e la rottura poi tra la produzione-conservazione-uso, che per secoli erano state funzioni in vario modo sovrapposte, si verificarono, parallelamente all’istituzione dapprima embrionale, in seguito meglio delineata, di appositi luoghi-istituti conservativi. Nel momento in cui si registra una “rivoluzione dell’intero sistema archivistico”, la figura dell’archivista, come si era in precedenza affermata, si sdoppia in modo irreversibile: da un lato il conservatore di documentazione del passato ritenuta memoria documentaria, dall’altro l’addetto alla tenuta documentazione del presente, utile per la trattazione di affari e pratiche correnti.

L’archivista conservatore non puo’ piu’ essere quell’esperto conoscitore di segreti documentari e fidato servitore dei detentori del potere che, nel conservare e usare gli archivi, si era soprattutto preoccupato di soddisfare esigenze pratico.operative e politiche di chi li possedeva. I suoi committenti-destinatari diventano altri; sono i “dott”, i cultiri di storia che, dopo la prockamazione del prinicipio della pubblic’ta' degli archivi ’ l'apertura al pubblico degli istituti che li conservano, a quei segreti che per tanto tempo gelosamente custoditi vogliono avere accesso. Potetr disporre di srumenti inventariali che permtetano di utilizzare la meoria sorica affidata agli Archivi e’ cio che i sultiri di storia, i “dotti” hanno chiesto, a partire dalla seoncda meta’ dell’Ottocento, all’archivista di professione. Questi da allora in poi, è andato all’affanosa ricerca di una fisionaomia che fosse a un tempo: quella di un addetto allo svolgimento di attivita’ e alla realizzazione di prodotti strumentali nei confronti di chi intende compiere ricerche d’archivio; di storico esso stesso, ma quel tanto che basta per andare d’accordo, senza perarltro entarre in concocorrenza, con chi storico a tutte lettere e’ o pretede di essere; di impiegato statale, cui viene ricnosciuta una determinata tecnicita’, ma nell’ambito dell’uniformita’ organizzativa e gerarchico-burocratica che ha sempre connotato la struttura e l’articolazione degli apparati statali a cui appartiene.

L’accusa di burocrate con tutti i connottati negativi di cui questo vocabolo si e’ caricato nelle accezioni in cui viene usato sia nel linguaggio tecnico.specialistico sia in quello comune, continua ad essere l’accusa forse piu’ infamante tra quelle che possono essere rivolte a chi esercita la professione di archivista.

Un buon archivista non puo’ essere un buon burocrate abbiamo ripetutamente affermato e non si cessa di affermare tra gli adetti ai lavori. Un buon archivista non deve essere un burocrate, si e’ richiesto in passato e si chiede a gran voce ai nostri giorni da chi non appartiene al mondo archivistico.

Un senso di malessere, di irrequietezza, ma anche di frustazione e di sfiducia nei confronti dei “superiori” gerarchici, soprattutto di quelli degli organi centrali, serepeggiano tra gli archivisti in forme piu’ o meno manifeste.

L’opera di mediazione che l’archivista svolge nei confronti della documentazione non passa soltanto dagli strumenti inventariali. Una netta distinzione tra chi conserva e chi usa memoria documentaria non e’ oggi proponibile. Occuparsi della sua conservazione non significa operare entro un rigido confine disciplinare e rimanere attaccati ad un tipo di sapere che si trasmette immutabile all’interno di una chiusa ed autosufficiente corporazione. Ce’ anzi chi ritiene che gli archivisti non debbano confrontarsi esclusivamente con la corporazione degli storici, per quanto vasta e frastagliata sia la sua composizione e vasto il territorio in cui opera. Si va cio’ diffondendo l’idea che nel progettare e realizzare lavori d’archivio si debba tener presente non solo la cultura di chierici, ma anche quella dei laici. Accogliere o promuovere esigenze di quest’ultima, comporta un ripensamento della figura tradizionale dell’archivista: non piu’ addetto soltanto ad attivita’ miranti a soddisfare ambiti ed aree specialistiche, ma anche partecipe di attivita’ che possono interessare ambiti piu’ vasti ed aree eterogenee. Trovare un efficace equilibrio tra i due tipi di attivita’, creare un fecondo rapporto tra le due, non privilegiare l’una a scapito dell’atra, e’ la grande scommessa su cui puo’ trovarsi a puntare chi fa il conservatore di memoria documentaria. Ma c’e anche chi ritiene che, essendo ancora tanti i conti in sospeso con chi appartiene al sapere colto, non e’ opportuno aprirne altri con altri settori di sapere; e chi proprio a questi ultimi intende dedicare attenzione quasi esclusiva, pensando con cio’ di eliminare o perlomeno ridurre il prolungato elitarismo che ha caratterizzato l’esercizio della pratica conservativa.    
       
L’archivista, inserito in un circuito di idee ed interessi non strettamente elitario, a confronto con esigenze e domande piu’ variegate di quelle proprie di settori specialistici, puo’ diventare piu’ avvertito sui modi da seguire e sugli strumenti da approntare, per trasmettere ad altri, e non necessariamente a pochi, il sapere connesso alla memoria documentaria del passato e del presente. L’ampliamento di possibilita’ di utilizzazione di un istituto archivistico favorisce inoltre intrecci e intersecazioni tra i vari titpi di lavoro e tra le diverse funzioni svolti dall’archivista.

Questi, privato delle tranquillizzanti certezze trasmessegli, da una radicata e consolidata tradizione di dottrina e di pratica, e’ diventato incerto e dubbioso sul da farsi, ma anche consapevole che l’immagine di custode geloso di cose antiche, misteriose, decifrabili solo da iniziati e accessibili solo a pochi eletti, si e’ appannata e scolorita. 

Testi consultati:

- A. M. Cirese, Oggetti, segni, musei. Torino: Einaudi, 1977;
- A. Sapori, Mondo finito. Roma, [s.d.], 1906;
- L. Sandri, La storia degli archivi, in “Rassegna degli archivi di Stato”, XVIII (1958);
- F. Valenti, Parliamo ancora d’archivistica, in  "Rassegna degli Archivi di Stato, XXXV (1975);               
  
Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
prof_biblio_lodesal@yahoo.com 

Alessio Lodes è laureato in Lettere Moderne, vecchio ordinamento, in Conservazione dei Beni Culturali e in Lettere Classiche. Ha conseguito un Master in Scrittura e Sceneggiatura per il cinema, un Master di L2 per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri e costantemente segue corsi di formazione e aggiornamento per l’insegnamento della lingua e civiltà greca,  i suoi maggiori interessi.