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Il reddito disponibile delle famiglie nelle regioni italiane

Nel periodo 1995-2003 il reddito disponibile delle famiglie italiane si è concentrato per circa il 53 per cento nelle regioni del Nord Italia, per il 26 per cento circa nel Mezzogiorno e per il restante 21 per cento nel Centro.I n questo arco temporale la quota del Nord sul totale nazionale ha perso un punto percentuale a quasi esclusivo vantaggio del Sud, essendo rimasta sostanzialmente stabile la percentuale del Centro. Il peso del reddito disponibile delle famiglie meridionali rispetto a quello complessivo del Paese è cresciuto, infatti, dal 25,6 per cento del 1995 al 26,6 del 1999, per mantenersi poi sostanzialmente stabile negli anni successivi.

Il Mezzogiorno ha sperimentato la crescita più sostenuta nel periodo
(+37,1 per cento), rispetto ad un incremento medio nazionale pari al 33,5 per cento, mentre la dinamica più debole si riscontra per le regioni del Nord Ovest (+30,8 per cento). Tuttavia ciò non è stato sufficiente a colmare lo svantaggio delle regioni meridionali, per le quali il livello del
reddito disponibile delle famiglie resta, nel 2003, pari all’ 84 per cento
circa di quelle del Nord Ovest.

L’andamento positivo appare generalizzato e superiore alla media
nazionale in tutte le regioni meridionali: Campania, Sardegna e Molise
registrano, nel periodo in esame, i tassi di crescita più alti e pari
rispettivamente a 40,3 per cento, 40,2 per cento e 39,9 per cento.

Nelle regioni centrali l’aumento del reddito disponibile risulta sostanzialmente omogeneo e pari al 34,3 per cento mentre nel Nord-est coesistono regioni con una crescita vicina alla media nazionale
(Trentino Alto Adige e Veneto) e altre in cui l’aumento è inferiore.
La regione con la crescita del reddito disponibile più bassa è comunque il Piemonte (+27,5 per cento).

La formazione del reddito disponibile: l’attribuzione dei redditi primari
Il reddito primario rappresenta la capacità delle famiglie di produrre reddito con l’impiego del proprio lavoro e del proprio capitale; costituisce, quindi, il reddito sul quale opera la fase di
redistribuzione che porta alla definizione del reddito disponibile. Analogamente a quanto osservato per il reddito disponibile, nell’arco temporale esaminato la quota di reddito primario prodotta dal Centro
rispetto al totale nazionale rimane invariata intorno al 21 per cento mentre quella prodotta dal Nord scende dal 55,8 per cento del 1995 al 54,6 per cento del 2003; ciò è imputabile principalmente alle
regioni del Nord-Ovest che passano dal 33,3 al 32,5 per cento. Il Mezzogiorno mostra invece segni di recupero, passando dal 23,5 per cento del totale nel 1995 al 24,6 per cento del 2003.
Passando all’analisi delle componenti del reddito primario, il reddito misto, che risulta dall’attività imprenditoriale svolta dalle famiglie nella loro veste di produttori, aumenta in Italia del 36,9 per cento
nell’intero periodo.

La crescita più sostenuta si registra nel Mezzogiorno (+43,4 per cento, con punte in Campania e Calabria, rispettivamente del +53,3 e +53,1 per cento), quella più bassa nel Nord-Ovest (31,7 per cento,
con le peggiori performance in Valle d’Aosta ed in Piemonte, rispettivamente pari a +17,8 e +22,3 per cento).

L’apporto del reddito misto alla formazione del reddito primario non è variato molto nell’arco di tempo considerato, passando, a livello nazionale, dal 18,4 del 1995 al 19,3 per cento del 2003; esso
risulta più basso nel Nord-Ovest (17,2 per cento nel 1995 e 17,8 per cento nel 2003) e più alto nel Mezzogiorno (19,9 per cento nel 1995 e 20,9 per cento nel 2003).

Il risultato lordo di gestione, che deriva per intero dall’attività delle Famiglie consumatrici e rappresenta sostanzialmente i redditi netti derivanti dalla proprietà di abitazioni, registra per l’Italia un
aumento a valori correnti del 61,9 per cento in tutto il periodo in esame. La dinamica più sostenuta si riscontra nel Nord-ovest (+74,4 per cento), quella più bassa nelle regioni meridionali (+42,8 per cento).

Ciò testimonia come l’attitudine delle famiglie all’investimento immobiliare, comunque sviluppata su tutto il territorio nazionale, sia vistosamente più marcata nel Settentrione, dove, tra l’altro, in media gli affitti sono aumentati in misura maggiore che nel resto del paese.
La struttura dei redditi delle famiglie è caratterizzata, nell’arco temporale considerato, da un’elevata variabilità dei redditi da capitale, che comprendono interessi, dividendi e utili distribuiti dalle società,
oltre ai fitti di terreni e ai rendimenti imputati delle riserve gestite dalle imprese di assicurazione in favore e per conto degli assicurati.

A livello nazionale essi aumentano, dal 1995 al 2003, dell’1,2 per cento; dal momento che il reddito primario è cresciuto molto più rapidamente (+30,5 per cento), i redditi da capitale ne rappresentano una
quota in progressiva diminuzione. La dinamica dei redditi da capitale non si presenta, però, omogenea su tutto il territorio nazionale: mentre, infatti, al Nord si assiste ad una decisa diminuzione dal 1995 in
poi (con una flessione, in termini monetari, pari al 4,7 per cento nel Nord-Ovest e al 6,7 per cento al Nord-Est), nel Mezzogiorno si registra un aumento del 18,3 per cento.

Su tali risultati ha influito essenzialmente l’andamento dei flussi netti di interessi, diminuiti a livello nazionale del 57 per cento negli otto anni successivi al 1995; tuttavia mentre il Nord e il Centro hanno
sperimentato flessioni di rilievo (-71,6 e -47,5 per cento rispettivamente), il calo per le regioni meridionali è stato molto meno vistoso (-13,9 per cento).

A favore del Mezzogiorno hanno giocato sia gli andamenti degli stock di attività e passività delle famiglie, sia quelli dei tassi di interesse. Infatti, la distanza tra i tassi di interesse applicati al Nord e al
Sud del Paese è andata riducendosi: nel periodo in esame i tassi attivi sono diminuiti meno al Mezzogiorno che al Nord o al Centro, mentre quelli passivi si sono contratti in misura maggiore sia
relativamente ai debiti a breve che a quelli a medio e lungo termine. Contemporaneamente, la flessione delle consistenze delle attività finanziarie delle famiglie, che ha caratterizzato gli anni più recenti, è stata assai meno sensibile nelle regioni del Mezzogiorno che nel resto d’Italia. Dal lato delle passività, per le famiglie del meridione si osserva una contrazione dei debiti a breve termine molto più rilevante che per le famiglie del Nord e del Centro, quest’ultima si è accompagnata ad una espansione meno marcata dei debiti a medio e lungo termine rispetto alle altre ripartizioni geografiche.

Gli utili distribuiti dalle società, compresi i dividendi, hanno, invece, mostrato una dinamica più omogenea nelle diverse ripartizioni.
Dal 1995 al 2003, i redditi da lavoro dipendente aumentano nel Paese del 37,9 per cento. Tale crescita, pur abbastanza uniforme nelle quattro macroaree, risulta più accelerata nel Nord-Ovest e al
Sud, registrando la crescita più elevata in Campania e Molise (+43,3 per cento e +42,8 per cento rispettivamente) e la più bassa in Liguria (+32,1 per cento).

La crescita sostanzialmente uniforme dei redditi nelle varie aree è confermata dal fatto che la loro distribuzione geografica sia rimasta invariata nel periodo considerato: 54 per cento circa al Nord, 21 per
cento al Centro e 25 per cento circa nel Mezzogiorno.

Il peso dei redditi da lavoro dipendente sul reddito primario, per il totale nazionale, cresce nel periodo dal 50,1 al 53 per cento, assorbendo parte della diminuzione della quota dei redditi da capitale.
La loro incidenza rimane sostanzialmente stabile al Sud (dal 52,4 al 53,6 per cento), mentre aumenta nel Nord-Ovest e nel Nord-Est dove passa, nel periodo considerato, rispettivamente dal 49 per cento al 53
per cento e dal 48,3 per cento al 52,1 per cento.

Nel contempo le unità di lavoro dipendenti aumentano, dal 1995 al 2003, del 9,7 per cento in media nazionale, portando, quindi, il reddito per unità di lavoro a crescere del 25,7 per cento.

Dalla combinazione dei tassi di crescita dei redditi da lavoro dipendente e dell’occupazione sottostante deriva che il reddito medio per unità di lavoro dipendente registra l’aumento più sostenuto nel Mezzogiorno (+27,5 per cento, contro +26,6 per cento del Nord-Ovest, +25,6 del Nord-Est + 22 per cento del Centro).

La formazione del reddito disponibile: gli effetti della redistribuzione
Tra le componenti del processo di distribuzione secondaria del reddito, le imposte correnti aumentano nel periodo a livello nazionale del 39,6 per cento, i contributi sociali del 26,1 per cento, le prestazioni sociali del 44,8 per cento. Nel Mezzogiorno si registra l’aumento più ignificativo sia di imposte che di contributi sociali (rispettivamente +61,4 per cento e +29,8 per cento), che mostrano dinamiche più accelerate rispetto alla media nazionale; la crescita più contenuta delle imposte si
verifica, invece, nel Nord-Ovest (+30,9 per cento) dove i contributi sociali aumentano del 24,7 per cento.

L’analisi della redistribuzione del reddito può essere completata attraverso l’osservazione del carico fiscale e contributivo. Il carico fiscale (inteso come incidenza delle imposte correnti sul reddito lordo
disponibile prima del prelievo di tali imposte), pari al 13,1 per cento a livello nazionale nel 1995, aumenta gradualmente fino a raggiungere il 14,8 per cento nel 2000, per poi recedere al 13,6 per cento
nel 2003. In generale, il carico fiscale è più elevato nel Nord e più basso nel Mezzogiorno; tra le regioni, Lombardia e Lazio detengono il primato: il carico fiscale passa dal 14,7 per cento del 1995 al 14,8 per
cento del 2003 nella prima e dal 14 per cento del 1995 al 14,6 per cento nella seconda. Puglia e Calabria, invece, mostrano il carico fiscale più basso (rispettivamente il 10,7 e l’11,3 per cento nel
2003).

Tuttavia la forbice tra aree geografiche va gradualmente riducendosi, proprio a seguito della dinamica delle imposte più sostenuta nel Sud: la distanza era, infatti, di 4 punti nel 1995 (14,1 per cento
al Nord contro 10,5 per cento al Mezzogiorno), si è ridotta a 2,1 nel 2003 (14,2 per cento contro 12,1 per cento).

Il carico fiscale e contributivo corrente (che oltre alle imposte include anche i contributi sociali) passa dal 27,4 per cento al 27,1 per cento dal 1995 al 2003 a livello nazionale, rimanendo pressoché stabile anche a livello territoriale.L’effetto operato dalla redistribuzione emerge dal confronto tra il livello del reddito disponibile e il/livello di quello primario: in presenza di forti differenze nella struttura economica e nella capacità di produrre reddito da parte delle regioni, la redistribuzione può, in parte, compensare i differenziali di reddito primario.

In generale, in tutto il periodo considerato e per tutte le ripartizioni geografiche il reddito disponibile delle famiglie è inferiore al loro reddito primario, ad indicare una strutturale sottrazione di reddito alle
famiglie operato nella fase della distribuzione secondaria. Nel tempo, però, questo fenomeno sembra attenuarsi: nel 1995 il reddito disponibile costituiva a livello nazionale l’88,1 per cento di quello
primario, nel 2003 la percentuale è salita al 90,2 per cento.

Il rapporto rimane più basso, ossia più sfavorevole, nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali: per queste ultime, tuttavia, la sottrazione di reddito resta sostanzialmente stabile nel periodo
attorno al 96 per cento mentre nelle regioni settentrionali il rapporto tra reddito disponibile e reddito primario tende ad aumentare, ossia a migliorare nel tempo, registrando nel Nord-Ovest un valore pari
all’87,1 per cento nel 2003 contro l’84,6 per cento del 1995, e nel Nord-Est un valore dell’88 per cento nel 2003 contro l’85,7 per cento del 1995. Anche per il Centro il rapporto registra un miglioramento,
passando dall’87,3 del 1995 all’89,8 per cento nel 2003.