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La rivoluzione digitale

La rivoluzione digitale, con la diffusione pervasiva di internet e delle sue innumerevoli applicazioni, ha prodotto profondi cambiamenti non solo nelle nostre abitudini quotidiane e nei più disparati comportamenti individuali e collettivi, ma anche nel campo della cultura, in ragione dell’uso ormai comune delle nuove tecnologie anche per la produzione e la trasmissione del sapere.

Si assiste così ad un profluvio di opinioni in merito, alcune suffragate dai risultati di studi condotti sui diversi aspetti del problema, altre compromesse dall’enfatizzazione di una serie di miti non confermati da riscontri sperimentali.

Da una parte c’è chi sostiene che Google ci può rendere stupidi, Facebook distrugge la nostra privacy, Twitter frantuma la capacità di attenzione e approfondimento; dall’altra i tecno-entusiasti affermano che le nuove tecnologie digitali hanno condotto alla democratizzazione della cultura.

Un altro elemento che incide fortemente sulla formazione della cultura odierna è il multitasking, cioè la possibilità consentita dagli strumenti informatici e telematici di fare molte cose nello stesso momento. È una grande comodità, ma anche un ostacolo alla concentrazione. L’abitudine al multitasking può indebolire la capacità mnemonica e di attenzione prolungata, al punto da proiettarci in uno stato di attenzione parziale continua, non soltanto per la possibilità di essere raggiunti in ogni momento, ovunque ci troviamo, da e‐mail e messaggi istantanei, ma anche per il numero crescente di notifiche automatiche da cui siamo raggiunti grazie ai lettori di feed, gli aggregatori di notizie, i social network, ecc.

Prevale, inoltre, una sensazione di annullamento dello spazio e del tempo indotta dalla familiarità con gli strumenti telematici. Possiamo raggiungere chiunque, ovunque si trovi, e possiamo ottenere qualunque informazione in un batter d’occhio; di conseguenza ci abituiamo ad avere una risposta immediata a ogni nostra richiesta, ma anche a reagire istantaneamente a ogni stimolo che proviene dal mondo: non si annulla solo il tempo di attesa esterno, ma anche quello di risposta del foro interno. 

Insomma quando i messaggi passano attraverso lo schermo, inevitabilmente gli elementi emotivi hanno la meglio su quelli cognitivi, la reazione immediata come il riflesso condizionato (dunque come pregiudizio) ha il sopravvento sulla riflessione mediata di tipo intellettuale (il giudizio), la percezione del reale come istante presente (affermazione del sé) prende il posto della elaborazione del proprio essere nel tempo (responsabilità verso gli altri).

In sintesi, nelle nuove forme digitali di fruizione culturale ‒ che secondo alcuni sancirebbero il passaggio da una “intelligenza sequenziale” a una modalità percettiva e conoscitiva basata sulla simultaneità e l’ipertestualità - sembra affermarsi il primato dell’interruzione rispetto alla concentrazione, della frammentazione rispetto alla continuità, del tempo presente e non della temporalità sedimentata, dell’attualità sull’esperienza. Non si tratta di un semplice cambiamento dei consumi culturali, dunque, bensì dello stile conoscitivo stesso, della tecnica della conoscenza: un cambiamento in cui i supporti tradizionali per produrre, conservare, trasmettere ed elaborare il sapere risultano progressivamente soppiantati dai nuovi dispositivi digitali, secondo un processo che si accompagna alla crescente disaffezione nei confronti della lettura tradizionale.

Con ciò cambiano anche le risorse stesse della cultura: ora i testi diventano “aperti”, cioè non più completi e definitivamente compiuti, protetti, vincolati a una inequivocabile imputazione di responsabilità dell’autore, bensì continuamente soggetti a possibili integrazioni, revisioni, manipolazioni. Il che implica una metamorfosi del concetto stesso di autore, che ora diviene plurimo e anonimo.

C’è da aggiungere che tendenzialmente all’ubiquità dei media digitali corrisponde la prassi del “nomadismo” mediatico: si può saltare da un mezzo all’altro con grande fluidità, i canali di accesso risultano moltiplicati, si afferma uno schema di esplorazione conoscitiva “per deriva”, in cui la gerarchizzazione delle fonti appare superata, così come la prassi dell’autoassemblaggio delle nozioni mette in crisi la tradizionale autorevolezza dell’autore.

Questa tendenza rende sempre più marginale la funzione di “filtro” delle informazioni e delle nozioni svolta dalle aziende editoriali e dalle istituzioni culturali.

Per dirlo con un paradosso, è il rischio del “solipsismo di internet”: milioni di persone continuamente connesse tra loro e rivolte contemporaneamente verso se stesse, secondo un meccanismo di introflessione; la rete come strumento nel quale si cercano le conferme delle opinioni, dei gusti, delle preferenze che già si possiedono; il populismo delle opinioni settarie, contrapposte e radicate, che non trovano alcuna sintesi razionale. Precisamente il contrario del ruolo svolto storicamente dalle aziende editoriali e dalle istituzioni culturali, cioè quello di formare un sapere e un’opinione pubblica che condensino pareri diversi ragionando sulle stesse cose, fornendo a ciascuno anche la possibilità di conoscere ciò che non sapeva di voler sapere, secondo percorsi erratici di serendipità.

Sono i rischi dell’individualismo radicale e dell’autodominio del soggetto nella rete intesa come ambiente nel quale cercare le conferme delle proprie idee e opinioni; del conformismo come risultato della personalizzazione dell’impiego dei media digitali e dell’autoreferenzialità dell’accesso alle informazioni, con la possibilità di arrivare a comporre su ogni pc, tablet e smartphone una “enciclopedia” del sapere fatta solo con le nozioni che l’utente sa già di voler conoscere.

Dopo le due grandi rivoluzioni nel campo della trasmissione del sapere, costituite dall’invenzione della scrittura che segnò il superamento della cultura orale, portando con sé tutti i vantaggi legati alla possibilità di fissare su supporti stabili le informazioni; poi della stampa, che eresse il libro, consultabile ora da inedite masse di persone alfabetizzate, a simbolo della cultura.

Testi consultati: 

L’impresa di diventare digitale. Paolo Boccardelli e Donato Iacovone, a cura di. Milano: Il Mulino, 2018;

Iacovone, Donato. Le trasformazione dei modelli di business nell’era digitale. Milano: Il Mulino, 2016.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (italia)
prof_biblio_lodesal@yahoo.com