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L'Italia nell'economia internazionale

Secondo il Rapporto ICE 2005 - 2006 "L’Italia nell’economia internazionale" l’area dell’euro, nell’ultimo biennio, ha visto una moderata crescita dell’attività produttiva. In Italia, però, la fase di ristagno iniziata nel 2001 si è aggravata. Fortunatamente quest’anno si intravedono segnali di recupero e il divario con la media UE potrebbe ridursi.

L’ulteriore ampliamento del disavanzo corrente dell’Italia nel 2005 è dovuto principalmente al rincaro delle materie prime. È peggiorato anche il saldo dei servizi, ma si è attenuato il deficit dei redditi da capitale.

Malgrado il lieve deprezzamento reale subito dall’euro rispetto alla media delle altre valute, il volume delle esportazioni italiane nel 2005 è diminuito e la loro quota di mercato mondiale ha subito un’ulteriore flessione, a prezzi costanti e correnti.

Il successo dei paesi emergenti spiega solo in parte questo cedimento, che si è manifestato anche rispetto agli altri paesi dell’area dell’euro.
È invece leggermente salita la quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali di servizi, che tuttavia aveva subito nel decennio precedente una flessione ancora più marcata di quella della quota mercantile.

Come spiegare la forte crescita dei valori unitari delle esportazioni italiane, malgrado l’apprezzamento dell’euro e la pressione competitiva dei paesi emergenti?

Nella misura in cui i valori unitari riflettono i prezzi, tale anomalia potrebbe spiegarsi con un maggior potere di mercato di alcune imprese italiane, basato su fattori qualitativi di competitività, in un contesto in cui la dinamica della domanda estera, assai superiore a quella della domanda interna, potrebbe aver attenuato la necessità di difendere le quote di mercato comprimendo i profitti.

Una parte delle imprese italiane sta spostando con successo le proprie esportazioni verso fasce qualitative superiori, meno vulnerabili alla concorrenza dei paesi emergenti.

Altre produzioni, a più basso valore unitario, vengono probabilmente dislocate all’estero, tramite IDE o altre forme di internazionalizzazione.
Infine si può ipotizzare che la liberalizzazione degli scambi stia determinando la fuoriuscita dai mercati esteri delle imprese più vulnerabili alla concorrenza dei paesi emergenti, ovvero un processo virtuoso di selezione delle imprese più produttive e innovative, con conseguente innalzamento del valore medio delle esportazioni.

La contropartita di questo innalzamento dei valori unitari, anche rispetto agli altri paesi dell’area dell’euro, è una riduzione delle quantità relative e dunque della quota di mercato delle esportazioni italiane.

All’indebolimento dell’economia italiana sui mercati internazionali concorre anche la sua scarsa capacità di attrarre investimenti dall’estero.

Il problema non riguarda tanto gli IDE motivati dalla ricerca di manodopera a basso costo, sui quali l’Italia non può competere con i paesi emergenti e che hanno un ruolo decisivo nel successo delle loro esportazioni. Lo scarso interesse delle multinazionali per il sistema italiano si estende anche agli IDE finalizzati a migliorare l’accesso ai mercati europei, o a quelli suscitati dall’obiettivo di assorbire conoscenze tecnologiche.

Le ragioni di questo problema sono molte e tendono a coincidere con l’insieme di fattori strutturali che frenano anche l’accumulazione di capitale interna. Tuttavia, un ruolo specifico spetta alle barriere protezioniste, che anche in Italia limitano gli investimenti dall’estero, soprattutto nel settore dei servizi.

Aree e principali paesi

Il deterioramento del saldo commerciale dell’Italia nel 2005 si è manifestato soprattutto verso le aree da cui essa importa materie prime (Nord Africa, Medio Oriente, Europa orientale), nonché nei confronti dell’Asia.

Sono invece migliorati leggermente i saldi con le Americhe e con l’Unione Europea, malgrado il peggioramento di quelli con la Germania e con i nuovi paesi membri.

Sulle importazioni italiane ha continuato a crescere l’incidenza, oltre che dei fornitori di materie prime (Africa, Medio Oriente, Russia), dell’Asia e dei nuovi paesi membri dell’Unione Europea.

La dinamica delle esportazioni italiane è stata molto differenziata per aree, con tassi di crescita elevati in America Latina, Medio Oriente, Europa orientale, Asia centro-meridionale e Africa sub-sahariana, discreti in America settentrionale, ma assai modesti nell’Unione Europea e in Asia orientale.

La flessione delle quote di mercato è stata invece generalizzata (tra i principali paesi fa eccezione la Russia, dove la quota è rimasta invariata), e particolarmente forte nell’Unione Europea, in Medio Oriente e in Nord Africa. Occorre comunque rilevare che perdite analoghe hanno subito nelle diverse aree anche i maggiori paesi industrializzati, a vantaggio sia della Cina e dei nuovi concorrenti, che dei produttori di materie prime.

Le partecipazioni italiane in imprese estere appaiono fortemente concentrate nell’Unione Europea a 15.

La crescita più marcata del fatturato si è avuta però in Europa centro-orientale e in Asia orientale, dove le forniture delle imprese partecipate sono presumibilmente rivolte non soltanto ai mercati locali, ma anche e forse soprattutto a quelli dei paesi sviluppati, con possibili effetti di sostituzione delle esportazioni italiane; del resto, gli acquisti da queste filiali, inclusi quelli effettuati dalle case madri, possono aver contribuito al sostenuto incremento delle importazioni dalle stesse aree.

Le multinazionali presenti in Italia provengono prevalentemente da altri paesi sviluppati (Europa occidentale, Nord America, Giappone). Tuttavia, è aumentato considerevolmente il fatturato realizzato in Italia da multinazionali dei paesi emergenti dell’Asia orientale, a conferma della loro recente capacità di espansione.

I settori

Nel 2005, come già nell’anno precedente, il peggioramento del disavanzo commerciale dell’Italia è dipeso essenzialmente dal dilatarsi del deficit energetico, che ha superato i 40 miliardi di euro.
Nel complesso, le variazioni dei saldi settoriali sembrano configurare la ricerca di nuovi assetti nel modello di specializzazione internazionale dell’economia italiana.

Data la crisi nelle produzioni manifatturiere tradizionali e nel turismo, in corso da molti anni, i vantaggi comparati si concentrano sempre di più nella meccanica strumentale, mentre sembra attenuarsi leggermente la debolezza commerciale in alcuni settori dell’industria e del terziario a forti economie di scala e ad alta intensità di conoscenze.

La stagnazione dell’attività produttiva si è tradotta in una caduta delle quantità importate, particolarmente forte nei derivati del petrolio, nella meccanica, nella metallurgia e in altri settori che producono beni intermedi.

Sono invece aumentate considerevolmente le importazioni di beni di consumo per la persona e soprattutto per la casa.
È ragionevole ipotizzare che si tratti in qualche misura di produzioni realizzate da affiliate estere di imprese italiane, o da imprese straniere ad esse legate da accordi di collaborazione industriale.

Va inoltre sottolineato che l’aumento delle importazioni di prodotti tessili e dell’abbigliamento (2,9 per cento) è risultato in media annua assai inferiore a quanto poteva far pensare il clamore suscitato dai primi effetti dello smantellamento dell’Accordo Multifibre, anche in conseguenza delle misure di protezione temporanea adottate dall’Unione Europea.

La flessione delle quantità esportate ha coinvolto quasi tutti i settori e in particolare l’abbigliamento, gli elettrodomestici, i mobili e le calzature.
In controtendenza, sono aumentate le esportazioni di prodotti alimentari, farmaceutici, derivati del petrolio e di altri settori caratterizzati da una maggiore incidenza di grandi imprese (tubi in ferro e acciaio e una parte dell’industria elettronica).

Con qualche eccezione, si può nel complesso affermare che negli ultimi anni le quote di mercato delle esportazioni italiane hanno subito i cedimenti più vistosi nei prodotti finiti tipici del made in Italy, mentre si sono consolidate nei beni intermedi e nei beni d’investimento legati a tali produzioni.

Segno anche questo di un’evoluzione del modello di specializzazione delle esportazioni che passa attraverso lo spostamento all’estero di alcune fasi dei processi produttivi.

Nei settori di punta del made in Italy, infatti, le vendite delle affiliate estere di imprese italiane sono aumentate negli ultimi anni più rapidamente delle esportazioni, avvalorando l’ipotesi che in qualche misura le imprese italiane abbiano sostituito le une alle altre.
Non si tratterebbe tanto di una sostituzione diretta sui mercati nei quali sono stati realizzati investimenti esteri, dove anzi potrebbero prevalere rapporti di complementarietà con le esportazioni di beni intermedi e d’investimento, quanto dei casi in cui gli investimenti sono stati realizzati in paesi emergenti usati come “piattaforma di esportazione” per i mercati dei paesi sviluppati, che prima venivano serviti direttamente dall’Italia.

Da sottolineare anche i cambiamenti in corso nel settore dei servizi, dove il peggioramento del saldo, dovuto essenzialmente al turismo, si è accompagnato a un guadagno di quota sulle esportazioni mondiali.
Vi hanno contribuito soprattutto i servizi alle imprese, inclusi quelli tra imprese collegate, presumibilmente associati a processi di frammentazione internazionale delle attività produttive.

Il ruolo delle Regioni

Nel 2005 il contributo del Mezzogiorno e dell’Italia nord-occidentale alle esportazioni nazionali è aumentato in misura significativa. Il guadagno del Mezzogiorno è integralmente riconducibile alle regioni insulari che, essendo specializzate nella raffinazione dei prodotti petroliferi, hanno beneficiato del forte rincaro del greggio sui mercati internazionali.

Il miglioramento dell’Italia nord-occidentale è scaturito prevalentemente dal recupero della Lombardia, sia in alcuni settori tradizionali (calzature e mobili), sia nella chimica e nell’elettronica.

Anche nelle esportazioni di servizi la Lombardia ha ulteriormente accresciuto la sua quota sul totale nazionale.

La cosiddetta “terza Italia”, che include il Nord-Est e il Centro, appare invece in difficoltà. In particolare, le forti perdite subite nell’ultimo quinquennio dal Veneto e dalla Toscana nei beni di consumo tradizionali e dal Lazio nella chimica e nell’elettronica non sono state completamente compensate dall’avanzata dell’Emilia-Romagna, basata soprattutto sui successi conseguiti negli autoveicoli e nella meccanica, inclusi gli elettrodomestici.

Il cedimento del Veneto potrebbe essere stato favorito anche dagli intensi processi di delocalizzazione produttiva, nella misura in cui le produzioni realizzate all’estero dalle imprese venete (o per loro conto) abbiano sostituito flussi di esportazioni che partivano dalla regione.

Le imprese

A partire dal 1998 il numero delle imprese esportatrici italiane è sempre aumentato, anche in presenza di andamenti poco brillanti del valore delle loro vendite all’estero.

Il 2005 in particolare ha fatto registrare un aumento degli esportatori vicino al 5 per cento, il tasso di crescita massimo da almeno un decennio.

La base imprenditoriale delle esportazioni italiane tende dunque ad ampliarsi, riflettendo la crescente integrazione dei mercati internazionali.

Al tempo stesso emergono segni di un suo consolidamento dimensionale. I dati sul valore delle esportazioni per classi di fatturato estero delle imprese confermano nel 2005 la tendenza di lungo periodo alla riduzione del peso delle piccole imprese.
Fra il 1996 e il 2004, ultimo anno per cui sono disponibili statistiche per classi di addetti, la quota delle imprese con meno di 50 occupati sulle esportazioni italiane è scesa di oltre tre punti percentuali.

Lo sviluppo delle piccole multinazionali sembra principalmente una risposta a problemi di competitività sui mercati internazionali. Le imprese con meno di 50 addetti hanno infatti perso quote sulle esportazioni italiane in tutte le principali aree, mentre hanno guadagnato in termini di internazionalizzazione produttiva in regioni dove gli insediamenti sono più direttamente legati a logiche di contenimento dei costi, come l’Asia orientale e i paesi del Mediterraneo.

Le altre classi dimensionali di imprese hanno invece rafforzato la loro quota sulle esportazioni sia nei paesi sviluppati (in particolare in America del Nord per le medie imprese), sia nelle aree emergenti (Asia orientale e Africa settentrionale per le grandi).

Riguardo all’internazionalizzazione produttiva, le medie imprese hanno mantenuto una forte presenza relativa in Europa centrale e orientale, ma hanno assunto maggior peso anche nei paesi dell’Unione Europea a 15, grazie ad un aumento delle iniziative finalizzate a migliorare l’accesso ai mercati.

In ogni modo, il grado di diversificazione geografica delle attività internazionali delle imprese italiane è aumentato, sia nelle esportazioni che nelle partecipazioni in imprese estere.

La sintesi del Rapporto:

http://www.ice.gov.it/editoria/rapporto/sintesi.pdf