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L’ape: il mondo a tre ruote

Di Prof. Alessio Lodes

L’abbiamo vista tutti, piccola e stracarica, viaggiare per vie, corsi e strade. Onnipresente e onnipotente, ha svolto e stravolto mille ruoli. Ribaltata in una strada costiera siciliana, sommersa dalle sarde che trasportava, a causa dell’azzardo di un pilota preso dalla foga di consegnare in fretta il pescato. Di colore indefinibile, verniciata come un biscotto affondato frettolosamente nel latte, condotta da decenni dallo stesso identico enorme rigattiere che occupa pacioso e silente tutto il piccolo abitacolo. Sbilenca e zoppicante, con le ruote posteriori storte, appesantita da centinaia di chili di lamiera e pezzi di ferro. In alcune zone d’Italia, “la Lapa” è, con il suo cassone, unità di misura. L’Ape porta più del suo peso. Come una formica, la tre ruote di Pontedera è uno degli animali meccanici più tosti mai apparsi sulla faccia della terra. E’ ovunque, come l’insetto a sei zampe. Una e trina, come la fede che chi la guida ha nelle sue tre piccole ruote. Realizzata con logica inesorabile dalla Piaggio nel 1948, l’Ape è frutto della necessità di trasportare gli oggetti in modo rapido ed economico. Alle persone, che producevano gli oggetti, l’azienda toscana aveva già provveduto in modo ef cace con la Vespa due anni prima. La dedizione per il trasporto le sarà però anche fatale: una ruota in più in questo caso deciderà il destino e la durata della sua laboriosa vita. Esistenza fatta di enormi carichi, decine di migliaia di chilometri e poca manutenzione. In Vespa si va a spasso, con al massimo la manciata delle poche decine di chili della danzata. Sull’Ape si lavora, con alle spalle centinaia di chili di merce. Materie varie che, di una dolce metà, non hanno né il sapore né la voce. Per questa tre ruote ronzante non c’è stato, come per la Vespa, l’onore dei film e dei libri. Niente vacanze a Roma, ma solo l’onere del duro lavoro svolto sulle strade, arrancando con coraggio sulle mulattiere, nei campi e nelle strade sterrate. Niente ruoli da protagonista, zero ri ettori. E nessuna pensione dorata nei garage dei collezionisti: occupa troppo spazio, è legata alle cose che trasportava. Ha fatto la fine di molte delle materie che trasportava: riposta chissà dove, consumata dalla ruggine e dall’oblio. Comparsa timidamente al salone del Ciclo e del Motociclo di Milano del 1947, l’Ape è conosciuta e presentata al grande pubblico solo l’anno successivo. Nascondendo con una mano la parte posteriore quando la si guarda, l’Ape è, in quel periodo, quasi una Vespa. Tolta la mano si apre un mondo e una prospettiva. Si chiude la dimensione del trasporto delle persone con una sella monoposto e, allo stesso tempo, incomincia quello del trasporto delle cose. Rispetto alla Vespa il propulsore è migrato, grazie a chissà quale mutazione pensata dai suoi creatori,dalla parte posteriore del mezzo a quella centrale, sotto la sella. Dietro, devono aver pensato, deve essere solo faccenda di pesi. Eliminata mentalmente l’idea di una guida squilibrata dovuta al motore da una parte, l’abilità di un ipotetico vespista con le mani sul manubrio dell’Ape si confronta con la presunta superiore stabilità dovuta alla terza ruota. Comune con la Vespa è in quest’epoca il propulsore: il due tempi di 125 cm3 abbinato ad un cambio a 4 marce. L’unica differenza è la disposizione: infatti è montato al contrario, con la ventola sul lato sinistro del motore. Uguale la potenza erogata, 4 cavalli: permette al mezzo di raggiungere la velocità di 40-45 km/h nonostante la portata massima di 200 kg. Il costo di esercizio è anche limitato: con un litro di miscela – dice forse esagerando l’ottimista oposculo - l’Ape percorre a pieno carico ben 35-40 chilometri. Il sistema frenante è misto, parzialmente adeguato alle necessità: ci sono potenti freni idraulici sulle ruote posteriori azionati a pedale. Davanti, è sempre la Vespa: stessa sospensione, stesso freno. Le ruote sono tutte uguali. Nonostante l’elevata massa a pieno carico il nuovo mezzo non è dotato di retromarcia. L’Ape interpreta ogni ruolo: sul telaio metallico si può montare qualsiasi tipo di cassone. Nel primo periodo è in legno, ma è possibile coprirlo con un telo. Si può anche montare una cabina di protezione per chi guida, dalle forme più diverse. Nel primo anno le Ape vendute sono 5.500. La prima variante è presentata nel 1949 alla Fiera del Milano. Si chiama Ape Giardinetta (ma è conosciuta anche come Ape Calesse) ed è adibita al trasporto di cose e di persone. Viene modificato anche il cambio: i rapporti allungati, grazie all’adozione di nuovi pignoni sui semiassi, permettono una maggiore velocità, mentre una nuova marmitta aumenta la silenziosità del mezzo. Nel 1953, con l’Ape B la cilindrata aumenta a 150 cm3 La velocità è di 60 km/h, mentre la portata aumenta: da 200 a 300 kg. Il pianale, sso o ribaltabile, rende ancora più versatile il mezzo. Il cassone è disponibile in legno o in ferro (in seguito solo in metallo). Le versioni disponibili in questo periodo sono: calesse, pianale (anche ribaltabile) cassone chiuso, e solo telaio. Molti allestitori preparano, su indicazione dei loro clienti, numerose varianti. Passi in avanti anche per la praticità: la retromarcia diventa disponibile come optional. Finisce l’epoca delle imprecazioni dei suoi proprietari. Mentre i bambini giocano con la piccola Ape, i grandi ci lavorano sempre meglio grazie alle continue innovazioni. La prima rivoluzione signi cativa avviene nel 1956, con l’Ape C. Da questo modello inizia la produzione della carrozzeria in lamiera stampata e il de nitivo affrancamento dell’Ape dalla posizione di guida della Vespa. C’è, nalmente, la retromarcia di serie. Con l’introduzione di questa versione cabinata scompaiono le bizzarre ma ef caci coperture prodotte da diverse aziende per ovviare al sentito problema dell’esposizione alle intemperie. L’Ape diventa anche molto più comoda: al posto della sella ora c’è un vero e proprio sedile L’estetica del mezzo è più uniforme ed il veicolo sembra un vero e proprio furgone, anche se con sole tre ruote. Questa evoluzione permette di aumentare le versioni disponibili: ora sono ben otto. La grande adattabilità del mezzo consente un rapido incremento delle versioni. Nel 1958, anno dell’introduzione della D 350 (di 125 cm3 ) sono 20. Il successo di questi anni è notevole: dal 1948 al 1958 sono oltre 200.000 i mezzi venduti. Dell’Ape D sono realizzate diverse varianti, tutte caratterizzate dall’aumento di portata: alla 350 seguono la 400 e la 500 (sigla che indica i kg di portata). Come per la Vespa, si studia anche per questo mezzo la vendita rateale. Il prezzo di acquisto base di 250.000 lire, dieci volte circa lo stipendio medio di un impiegato, può essere dilazionato in 6, 12 e18 mesi. Nel 1961 l’Ape si trasforma anche in una pratica motrice (con cabina dell’Ape D), alla quale attaccare ogni genere di rimorchio. Un piccolo sberleffo ai TIR: questo mezzo a cinque ruote è composto come un autoarticolato. Una motrice anteriore a tre ruote e un rimorchio posteriore. La portata raggiunge il record di 700 kg, grazie anche al nuovo motore di 250 cm3 . L’Italia nel frattempo è cresciuta, molti non si accontentano più di un tris di circonferenze al quale affidare le proprie merci. La feroce concorrenza con i furgoni stimola la Piaggio a produrre nel 1967 la versione MP, caratterizzata dalla portata e dai volumi maggiori Questa novità rappresenta l’evoluzione più estrema del motofurgone a tre ruote. Presentata al salone di Milano, è caratterizzata dal nuovo posizionamento del propulsore: come dice la sigla, è a motore posteriore. Lo spostamento del propulsore aggiunge un altro prezioso tassello all’evoluzione dell’Ape. Dalle prime versioni, dov’era collocato sotto la sella, si giunge a questa soluzione passando dalla versione C, dove era posizionato sotto il sedile. Questa rivoluzione significa anche una nuova trasmissione, ora diretta sui due semiassi posteriori. L’Ape si irrobustisce e diventa anche più confortevole. Il propulsore di base è ora di 190 cm3 , con una nuova ammissione che permette l’utilizzo della miscela al 2%. 

Con il rinnovato disegno di Giorgetto Giugiaro per la versione TM, il veicolo raggiunge nel 1983 il suo design de nitivo, attuale ancora oggi. Ora la terza ruota quasi scompare, sotto una scocca da vettura. A poco più di quarant’anni dalla nascita, l’Ape conosce però la sua mutazione più grande: la quarta ruota. Nel 1990, per rendere il veicolo sempre più adatto e competitivo con la concorrenza dei piccoli furgoni nipponici, la Piaggio completa l’evoluzione automobilistica con l’Ape Poker: 800 sono i kg di portata, grazie al motore a gasolio. La portata in questo modello raggiunge anche i 900 kg, richiedendo la versione con pianale allungato. L’evoluzione del trasporto leggero privilegia però sempre di più i piccoli veicoli e parte del ruolo dell’Ape incomincia ad essere svolto dal Porter, veicolo per il trasporto di merci nato grazie alla collaborazione tra Piaggio e Daihatsu. Per l’Ape rimangono le nicchie di mercato. Tra queste, anche quella inedita che ha come fruitori del veicolo i giovani tra i 14 e i 18 anni. Per loro l’Ape rappresenta una piccola vettura: un ruolo giocato da questo veicolo in netto anticipo rispetto alle mini-vetture che si possono guidare senza patente che appariranno qualche anno dopo. L’Ape 50 Cross e la 50 Web sono le versioni “giovani” costruite apposta per questo tipo di clientela. Nei paesini, lunghe le di minuscole Ape parcheggiate segnalano un ritrovo di giovani che hanno raggiunto l’abitato protetti dalla lamiera del loro primo mezzo chiuso. In attesa di una sua futura e probabile erede, l’Ape ha continuato a far parlare di sé grazie alla versione “Calessino”, realizzata in soli 999 esemplari. Oltre a questa versione sono ancora oggi commercializzati tre diversi modelli: la “classica” 50 (nelle versioni pianale, furgone e Cross Country), la TM (di 218 cm3 pianale e furgone) e la Classic. La TM ha una curiosa particolarità: probabilmente è l’unico veicolo al mondo disponibile con il manubrio (nelle versioni di serie) o con il volante (come optional). Il futuro? Forse, per guardare avanti, bisogna voltarsi. Spostare, come in un mazzo, l’asso della ruota solitaria. In Piaggio l’hanno già fatto parzialmente, con l’innovativo scooter MP3. DA VESPA AD APE Ape, l’insetto laborioso. Vespa, quello aggressivo e poco produttivo. Il nome di questi due prodotti della Piaggio non poteva essere più azzeccato. Riesce infatti ad esprimere in modo efficace sia la stretta parentela tecnica tra i due prodotti sia il loro carattere. Rispetto alla Vespa l’Ape ha però conosciuto più variazioni di nome, dovute in parte alla tradizione popolare o alle necessità commerciali. Se Vespino e Vespone sono state per la Vespa le mutazioni più conosciute (per le versioni di 50 e 150 cm3 ), le modi che al nome della sorella a tre ruote sono state provocate dalla necessità di sempli care la pronuncia. L’Ape diventa così nell’Italia del Sud “la Lapa”. Termine cambiato a sua volta in Lapino per la versione più piccola e Lapone per quella più grande. In Inghilterra invece il cambiamento del nome è dovuto alla grande popolarità della Vespa, tale da far cancellare o passare in secondo piano (come è accaduto per la Vespa) la Piaggio: in questo paese l’Ape è “Vespa Commercial”. In India il veicolo è chiamato “Ape Rikshaw” mentre in Spagna è chiamata “Vespa Commercial” o “Vespa Ape”. In Francia i nomi sono più originali, con in termini TriVespa e Triporteur. In Germania l’Ape è “Bestelscooter” o Vespa “Lastenroller”. 

Testi consultati:

- Brovelli, P. Sulle ali di un Ape. Da Lisbona a Pechino in 212 giorni. Milano: Mondadori, 2010:

- Calabrese, O e Livolsi M. Il libro dell’Ape, Sl: Sn.Sd.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
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