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Romania e Bulgaria nell'Unione, occasione di crescita per Italia

Il 1° gennaio 2007 due nuovi paesi sono entrati a far parte dell'Unione Europea portando così a 27 il numero degli stati membri. L'ingresso della Romania e della Bulgaria è un evento che, per i risvolti economici, sociali e culturali deve essere salutato positivamente, come occasione funzionale alla crescita di tutta l'Europa. I romeni in Italia sono 271.000 registrati a fine 2005, più un numero di minori notevolmente aumentato rispetto al 4% dell'ultimo censimento. Se consideriamo  le domande presentate quest'anno attraverso i due decreti flussi  e il numero non precisabile di cittadini romeni che non si sono avvalsi di queste opportunità, si va ben oltre le 400.000 presenze. Anche i bulgari, tra quelli registrati come soggiornanti (17.470), i minori e le persone candidatesi per le quote, sono diverse decine di migliaia.

Questa aumentata presenza costituisce un ulteriore arricchimento della comune casa europea, ma anche un'opportunità per l'Italia che in questi anni ha potuto contare sul loro prezioso lavoro. Risulta positiva la possibilità di questi lavoratori di circolare liberamente e di continuare ad inserirsi nel mercato del lavoro come badanti, colf, operai edili, metalmeccanici e stagionali, senza essere più soggetti alla complicata procedura del decreto flussi e dello sportello unico. Nonostante la scelta del governo italiano di adottare un regime transitorio per un anno relativamente alla libera circolazione dei lavoratori subordinati, come previsto dai Trattati di adesione, prendiamo atto con favore che le categorie di lavoratori maggiormente interessate dalla presenza di cittadini romeni e bulgari non saranno comunque soggette a questo regime transitorio. Gli effetti positivi di questa scelta non tarderanno ad arrivare e auspichiamo possano accompagnare il più ampio e atteso  progetto di riforma del testo unico sull'immigrazione.

Non bisogna, però, ignorare la diffusa preoccupazione di quanti temono un "pericolo invasione", specialmente da parte di cittadini romeni, e al loro interno, dei nomadi, presenti in gran numero in quel paese (2,5% della popolazione).

Indubbiamente i romeni, per la loro comune origine latina, tengono molto al nostro paese, dove è insediata la loro più consistente collettività. L'andamento degli ultimi anni può far pensare a una pressione migratoria di circa 60 mila lavoratori, difficilmente quantificabile con maggiore precisione, tenuto conto che possono spostarsi più liberamente anche in altri paesi e che l'evoluzione demografica romena è soggetta a stime drasticamente negative (16 milioni nel 2050). D'altra parte va considerato che l'elevato fabbisogno annuale di nuovi lavoratori in Italia, di cui si è parlato alla presentazione dell'ultimo Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, consente di soddisfare le esigenze della Romania e degli altri paesi, senza alterare gli equilibri del mercato del lavoro nazionale.

Tuttavia molte questioni restano ancora aperte, e necessitano di monitoraggio costante. A questo riguardo sarebbe di grande utilità un maggiore impegno per quanto riguarda i controlli sui posti di lavoro, il coordinamento degli enti preposti a tale controllo e il più funzionale incontro sul territorio tra domanda e offerta, come la finalizzazione della formazione professionale alle esigenze qualitative della produzione. Anche la questione dei nomadi - rispetto alla quale la Caritas è impegnata attivamente sia sul piano dell'accoglienza che su quello del confronto istituzionale - evidenzia aspetti complessi che richiedono, tra l'altro, un'attenta considerazione delle disposizioni a livello europeo, ricordando che l'applicazione delle leggi e la sicurezza sono valori condivisi anche dalla maggior parte degli immigrati. Non ultima c'è la questione relativa alla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo che vede la Romania tra i principali paesi di partenza e di transito delle vittime. Chiediamo che a questo fenomeno venga dedicata sempre maggiore attenzione e che vi sia uno sforzo congiunto dei paesi interessati al fine di contrastare le relative attività criminose e per la promozione di percorsi di legalità.