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Le radici filosofiche della psicologia: il dualismo anima e corpo

Di Prof. Alessio Lodes

Lo psichiatra Binswanger radunava settimanalmente nel suo ospedale le menti più significative nell’ambito psichiatrico-psicoanalitico e filosofico, (quali Jung, Freud, Heidegger, qualche volta anche Husserl), organizzando così già incontri tra filosofia, psicologia e psichiatria. Binswanger dice che il dualismo anima e corpo è il cancro di ogni psicologia. Osserviamo questo cancro, di cui ancora siamo tutti persuasi, perché tutti quanti ancora pensiamo di avere un corpo e un’anima. Anche per quanto riguarda scienze come la psicologia (cioè il sapere della psiche, cioè dell’anima) e la psichiatria (da iatria, la cura della psiche, dell’anima), nella loro stessa denominazione ci danno l’idea che ci sia un’anima.

Questa persuasione deriva da Platone. L’anima è un concetto di Platone; l’ha inventata Platone, non appartiene minimamente – a differenza di quanto si crede – alla tradizione giudaico-cristiana. Prima di Platone l’anima non c’era; c’era nella tradizione orfica, ma era un’anima fatta di misteri, fatta di anoressie (meno uno mangia, meno uno beve, più si spiritualizza, più ha a cuore il pensiero). Ma qui non disquisiremo della tradizione orfica, per non allungare troppo il discorso. Mi limiterò a citare Omero, il quale ci racconta un’antropologia dove l’uomo è il suo corpo e nient’altro che il suo corpo, e il suo corpo non è rappresentativo, non rappresenta funzioni che si svolgono in un altrove, cioè nell’anima, ma è immediatamente espressivo.

Ciò significa che l’ira di Ulisse è nel suo balzare nell’atto militare, nelle sue unghie sporche di sangue, nelle sue braccia luride e sporche, nell’arco, nella faretra; il suo corpo è l’ira. Un’ira che nasce in presenza di una situazione, non un’ira perenne, come moto dell’anima, ma un’ira che nasce in presenza di quella situazione in cui la sua sposa è insidiata dai Proci, i quali, nel tempo della sua assenza, volevano occupare il posto che era di Ulisse. Il corpo è immediatamente espressivo e non rappresentativo in Omero. E anche quando Omero va nell’Ade, nell’Ade che cosa trova? Le anime? No: l’eidolon. L’eidolon è la reminiscenza; quando Achille dice che passò tutta la notte con l’eidolon di Patroclo sulla sua testa, intendeva la memoria affettiva che Achille aveva di Patroclo. E lo stesso Ulisse, quando cerca di abbracciare sua madre, questa gli trasvolò fra le braccia, perché nervi più non ha, né sangue – vedete questo elemento corporeo che dà la consistenza della persona – e, quando incontra, Achille gli dice “vedo che anche qui sei abbastanza famoso” e Achille gli risponde “preferirei, come servo, servire un padrone che mi desse il vitto, piuttosto che regnare sui morti che la morte consunse”.

Quindi non c’è un aldilà se non come rappresentazione della memoria di quelli che sono vissuti nell’aldiquà, una sorta di totale inconsistenza della loro corporeità. L’anima viene introdotta da Platone per un problema gnoseologico, cioè di conoscenza. Platone dice, con estrema chiarezza, noi non possiamo fidarci delle informazioni che il nostro corpo recepisce attraverso gli organi di senso. Perché il corpo umano si trasforma (bambino, adolescente, giovane, adulto), si ammala, subisce le passioni, è diverso da individuo a individuo; per cui, se vogliamo costruire un sapere universale e valido per tutti, non possiamo fidarci delle sensazioni corporee, che sono diverse da individuo a individuo.

E allora, per esempio, se dovessimo stabilire che temperatura c’è in questo ambiente, dovremmo fare riferimento alla sensazione corporea che ciascuno di noi possiede, avremmo tante temperature quante sono i nostri corpi, non si arriverebbe quindi a un dato oggettivo; per arrivare a un dato oggettivo – dice Platone – dobbiamo lavorare con numeri, idee, misure, quantità, rapporti, correlazioni. Questo è il mondo delle idee, dove l’anima una volta abitava ed è poi caduta in un corpo, ed ha dimenticato. Però, guardando le cose, essa rammenta, ricorda, riaccorda ciò che vede con ciò che un tempo ha visto: le idee. Le idee sono le essenze delle cose; non ci sarà mai in natura un triangolo perfetto perché la materia non consente la perfezione, ci sarà un triangolo più o meno triangolare, ma noi lo definiamo triangolare perché abbiamo l’idea di triangolo; non ci sarà mai un’idea giusta, perché le nostre azioni sono un po’ giuste un po’ ingiuste, e le chiamiamo giuste perché si avvicinano all’idea di giustizia. Se non avessi l’idea di giustizia, non saprei che cos’è un’idea giusta.

L’organo delle idee si chiama psyché e qui nasce l’anima. Ma interessa il contesto in cui nasce: nasce per un’esigenza gnoseologica, cioè per un bisogno di conoscenza. Se vogliamo raggiungere una conoscenza universale e uguale dappertutto, abbiamo bisogno di un organo, che non è il corpo – perché il corpo non è in grado di garantire questo sapere universale e valido per tutti – quindi dobbiamo fare riferimento a questa cosa che si chiama anima. Anche la tradizione giudaica non aveva nessuna nozione di anima. Ma qui si è sviluppato un problema di traduzione: quando la Bibbia è stata tradotta in greco, c’è una parola che compare nella Bibbia 750 volte – la parola nefeš –, che tradotta in greco è stata resa con la parola psychè. Il problema è che, quando si traducono le parole da una lingua all’altra, la parola tradotta trascina con sé la cultura a cui quella parola appartiene.

Per esempio: in greco natura si dice fusis, che vuol dire nascere, germogliare, fiorire; natura – in latino – vuol dire nascere, apparire, germogliare – è uguale – però, la tradizione latina porta dietro con sé la concezione cristiana della natura creata da Dio e perciò buona; la fusis, invece, non è una natura creata da Dio, ma è quello sfondo immutabile che nessun Dio e nessun uomo fece, e costituisce il parametro di riferimento per costruire la città secondo natura e la conduzione dell’animo secondo natura. Quindi, le parole sono uguali, però ogni parola porta dietro di sé la propria cultura. Accade così che una volta che la parola nefeš è stata tradotta con psyché, si è introdotta la parola anima anche nel linguaggio religioso. Il perché nefeš non vuol dire anima lo troviamo nei Salmi: “in catene misero i miei piedi, e – con lacci – legarono la mia nefeš”, che è la gola. Il popolo ebreo si lamenta con Yahweh perché sono anni che gli dà come nutrimento la manna e dicono che la loro nefeš è nauseata dalla manna. È chiaro che la nefeš qui non è l’anima. “Il nazireh o colui che si appresta a diventare sacerdote, non deve toccare la nefeš met ”. Met vuol dire morto, l’anima morta degli animali, il cadavere, perché il cadavere è impuro; non è vero che c’è scritto “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ma “muoia la mia nefeš con tutti i Filistei”, cioè la mia vita; “occhio per occhio, dente per dente”, nefeš per nefeš, che non vuol dire anima per anima.

Questo è il mondo giudaico. Non parliamo poi del Cristianesimo che, delle tre religioni monoteiste, è la religione del corpo. Perché, a differenza della religione mussulmana e della religione ebraica, Dio si fa carne. L’essenza del Cristianesimo viene ben detta da Giovanni: Verbum caro factum est, la parola si è fatta carne. E mentre nelle moschee e nelle sinagoghe voi vedete la Parola scritta, ma non vedete nessuna immagine, le nostre chiese sono piene di immagini perché la religione cristiana è una religione del corpo. La Salvezza, la Redenzione, avviene con il corpo di Cristo, martoriato e risorto; mentre queste cose non ci sono nella tradizione giudaica e tanto meno in quella islamica, dove la trascendenza è lasciata all’assoluta trascendenza. Lo stesso Paolo di Tarso riferisce che i Cristiani, dopo la Resurrezione di Cristo, risorgeranno; poi gli dicono “guarda che sono morti anche qua i Cristiani, non sono risorti…!”. E allora, se sono morti, risorgeranno con un soma pneumatikòs, un corpo d’aria; ma soma, non dice psychè, eppure sapeva bene il greco Paolo di Tarso. Non dice psychè.

Questa cosa la va a dire anche ai Greci, all’Areopago; e qui risulta un po’avventato, non doveva andare a dirglielo, per non raccogliere lo scherno dei Greci, per i quali la resurrezione dei corpi era una forma di follia, dal momento che la cultura greca concepisce l’uomo come mortale; prendono sul serio la morte, e non lo chiamano quasi mai uomo, antropos o aner, lo chiamano znetos, all’epoca di Platone, colui che è destinato a morire, tanatos, o brotòs, colui che il nulla l’attende. Quando Eschilo, nel coro del Prometeo incatenato, chiede a Prometeo: “Tu, non è che agli uomini, oltre alla tecnica e al fuoco, hai promesso qualcos’altro? cioè la nostra vita?”, Prometeo risponde “sì, ho dato loro tuflàs elpidas, cieche speranze; “ah, allora, bene ha fatto Zeus a incatenarti e a mandarti un’aquila che ti rode il fegato per l’eternità, perché hai ingannato i mortali”. Quindi per il greco queste cose, la resurrezione dei corpi, un’altra vita, non esistono.

Quando Paolo di Tarso la annuncia – dicono gli Atti degli Apostoli – alcuni risero, altri gli dissero “questa storia ce la vieni a raccontare un’altra volta”. Perché sono incompatibili. E tutti coloro che cercano di fare una commistione tra mondo greco e religione cristiana, veramente fanno un pasticcio; vien da pensare, o non conoscono il Cristianesimo o non conoscono per nulla la Grecità. La differenza è abissale. Detto questo, quand’è che c’è una confluenza? Tra l’altro poi i Cristiani, nel loro atto di fede – il Credo – non dicono di credere nell’immortalità dell’anima, dicono di credere nella resurrezione dei corpi. Allora questa corporeità ha un significato, è una cosa vera. Quando c’è la Messa, voi mangiate il corpo e il sangue di Cristo, non l’anima. Non c’è l’anima nella tradizione giudaico-cristiana – questo ve lo posso garantire ed anche i teologi sono d’accordo con me, anche se non lo dicono esplicitamente perché è più comodo pensare che il cuore e il corpo abbiano un’evidenza, e l’anima no. Non è cristiano questo modo di pensare. Come mai lo è diventato?

Grazie a Sant’Agostino, il quale era un uomo intelligente, neoplatonico, e aveva studiato bene i testi platonici. Egli prende da Platone il concetto di anima (e di corpo) e lo sottrae al contesto gnoseologico, cioè al problema della conoscenza che lo stesso Platone doveva risolvere e lo inserisce nel problema della Salvezza. Per cui viene ad esserci una città terrena e una città celeste, un’anima e un corpo. Nell’anima, c’è la parola di Dio – in interiotate homine abitat Deus, habitat Christus, habitat Veritas. L’anima diventa il principio dell’individualità, si antepone alla comunità perché la cosa più importante è salvare l’anima; nasce il primato dell’individuo rispetto alla comunità – mentre per il greco, c’è prima la comunità, poi l’individuo: Aristotele dice “l’uomo è un animale sociale”, se qualcuno pensa di essere autosufficiente, o sufficiente a se stesso, o è bestia o è Dio; qui a proposito di Dio, dice che è monakòs: Dio non è felice perché è monakòs, perché è solo, non parla con nessuno… per dire che è la struttura relazionale quella decisiva. Questo è molto importante, perché l’individuo nasce dal due, l’individuo nasce dopo un due che è il corpo della madre e lui dentro il corpo della madre: è il due che genera l’uno. E in generale la nostra identità non ci deriva dal fatto che siamo nati e quindi abbiamo un’identità, ma abbiamo un’identità per il riconoscimento dell’altro. La relazione genera la tua identità. Se la mamma dice che sei bravo e la maestra dice che sei bravo, crea un’identità positiva; se invece dice che sei un cretino, crea un’identità negativa; ma l’identità – ripeto – è un fatto sociale, non è un fatto individuale. Ma andiamo avanti.

Dopo di che nasce questo dualismo, anima e corpo, e avrà un grande successo, in tutto l’Occidente. In tutto l’Occidente, la lezione cristiana diffonde questo modello, e questo modello funziona, per cui tutti sono persuasi di avere un corpo e un’anima, e questa cosa viene definitivamente istituita, in maniera rigorosa, anzi scientifica, da Cartesio. Il quale non fa altro che riprendere Platone – ma con un’attrezzatura molto più solida di quanto non avesse a disposizione Platone – e disgiunge l’uomo in res cogitans e res extensa. Cioè corpo (res extensa) e anima (res cogitans). Che cosa succede? Che sorte ha il corpo a questo punto? La condanna definitiva. Perché prima del corpo non ci si poteva fidare delle informazioni corporee (Platone); il corpo fa parte della città terrena (Agostino), quindi dobbiamo contenerlo, le sue passioni vanno limitate e contenute; qui il corpo diventa una cosa osservata dall’anima, una cosa osservata dalla res cogitans: non è più un soggetto di vita, ma una cosa oggetto di osservazione. Nasce il corpo come organismo, come sommatoria di organi. Così descritto dalla res cogitans, cioè dalla mente umana, scientificizzata, la quale procede nella descrizione del mondo attraverso le categorie a disposizione di Cartesio dell’epoca, che sono le categorie fisiche. 

Testi consultati:
- Nannini, S. L’anima e il corpo. Un’introduzione storica alla filosofia della mente. Milano: Laterza, 2021;
- Eco, U.  Storia della bellezza. Milano: Bompiani. 2018

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
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