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La festa dei Santi

Di Prof. Alessio Lodes

I santi sembrano ormai scomparsi dalla nostra vita cristiana, dalle forme della nostra devozione. 

L’assemblea festosa dei nostri fratelli” ci richiama al nostro fine, e alla nostra vocazione vera, indipendentemente dalla condizione laicale o religiosa: la santità.   Una santità da vivere nel “quotidiano”, non fatta di “eroiche imprese”, ma semplicemente in virtù del Battesimo. Per ognuno di noi, è possibile incamminarsi verso questa meta che è più vicina di quanto possa sembrare, con il compimento fedele della grazia di questo, d’approfondire, custodire e alimentare, di giorno in giorno.

“Pasqua dell’autunno”, così viene descritta dal Martirologio Romano, giorno in cui “in un unico giubilo di festa, la  Chiesa  ancora  pellegrina  sulla  terra  venera  la  memoria  di  coloro  della  cui compagnia esulta il cielo”. E di questa “Pasqua d’autunno”, grazie all’arte del Beato Angelico, possiamo ammirarne una sorta di fotografia nella famosa pala a tempera del 1424/1425 dal titolo ampiamente esplicito: “La Vergine Maria con gli Apostoli e altri Santi”. E’ magnifico il policromo gioco delle vesti dei santi, così come davvero di grande impatto il color oro delle “aureole” dei protagonisti della scena – assieme, ovviamente, a Maria – che è diffuso in tutta la pala. Sembra davvero che grazie a questa scena, magistralmente dipinta, si possa avere – davvero – il senso della festa del primo novembre: la molteplicità, davvero svariata, dei colori, a significare la diversità delle biografie di ogni santo, ma a unire tutti, lo sfolgorante color oro, che rende tutti in un equilibrio perfetto, armonico. E’ la comunione dei Santi. Su questo aspetto, quello della comunione dei Santi, ci facciamo aiutare dal Catechismo della Chiesa cattolica.

Una volta, la loro figura ci era proposta già in età infantile; proprio perché proposta in età così precoce, essa rimaneva impressa nella memoria e nella sensibilità. L’esempio dei santi era proposto poi anche dalla predicazione ordinaria. Oggi la loro presenza è decisamente ridimensionata. Giovanni Paolo II ha canonizzato un numero di santi maggiore di tutti quelli canonizzati nei 400 anni precedenti; ma non è affatto sicuro che questo basti per rinnovare la presenza della figura dei santi nella vita di ogni cristiano. Il minore rilievo della figura dei santi ha alla sua origine anche ragioni plausibili. Nella celebrazione liturgica, nella catechesi e nella vita cristiana in genere, ha acquisito nuova centralità il vangelo, e la Bibbia in genere.

La semplificazione del calendario liturgico ha visto la cancellazione di molte figure di santi, che avevano una base solo leggendaria. L’ironia nei confronti delle leggende antiche a proposito dei santi è fino ad oggi una delle espressioni più facili del distacco del cristiano illuminato dalla propria fede infantile. Riflesso di questa esigenza di verità storica è però anche il fatto che oggi sui santi non si scrivono più agiografie, ma semplici biografie. La lettura delle vite dei santi soddisfa la curiosità assai più che il desiderio di edificazione. La fine del genere agiografico è uno dei segni più precisi dell’insensibilità cristiana per la testimonianza dei santi. Il più grande santo italiano, san Francesco, è oggi oggetto di interesse per storici e filologi assai più che per maestri spirituali e teologi. I film fatti su di lui usano la sua immagine per costruire graziosi quadretti o per proporre provocazioni, assai più che per edificare la fede. L’immagine di Francesco proposta è di volta in volta quella del giullare o del rivoluzionario, assai più che quella del cristiano che riscopre la verità del Vangelo. Grande risonanza ha un libro che mette in dubbio l’autenticità delle stigmate; ma quasi nessuno conosce il Cantico delle creature o le legendae di Tommaso di Celano. Si tratta solo di legendae, appunto. La parola legenda non significa in origine favola, racconto non vero, ma racconto da leggere. La verità che più importa, quando si tratta di Francesco o di un qualsiasi santo, non è quella che la ricerca positiva può accertare; ma è quella che la meraviglia davanti alla sua straordinaria testimonianza evangelica annuncia. Minaccia di accadere per i santi quel che accade per ogni altra memoria cristiana: essa diventa oggetto di interesse filologico, assai più che di un interesse alimentato dal desiderio di Dio. Nel caso di Francesco come nel caso di tutti gli altri, la verità custodita dalla vita di un santo non può essere compresa da chi ha occhi soltanto per i fatti, e considera il significato dei fatti come un’aggiunta soggettiva, arbitraria e non verificabile.

La cosiddetta mentalità ‘scientifica’, attenta solo ai fatti, trasforma anche i santi in pietre da museo, che si possono classificare, datare, incorniciare, ma non hanno in sostanza più nulla da dire alla vita. Per capire e apprezzare la figura dei santi occorre avere un interesse previo per la cosa di cui è questione nella loro vita: e la cosa è Dio stesso. Quando si abbia un effettivo interesse per quella cosa, la considerazione della vita dei santi diventa illuminante, anzi addirittura indispensabile. Non basta forse il vangelo di Gesù? Non basta la Bibbia? No, non basta. E d’altra parte, anche i libri della Bibbia sono nati grazie ai santi. Penso soprattutto agli apostoli. La Parola di Dio fatta carne non ci raggiunge nella forma di una lettera scritta in cielo, solo poi spedita sulla terra. Il Verbo di Dio può farsi carne, e quindi può prendere forma in questo mondo, soltanto grazie alla fede di Maria e di tutti i santi. Santi sono coloro che dall’inizio hanno creduto nella predicazione di Gesù. La sua predicazione fu possibile soltanto perché ci furono coloro che credettero in essa. Come  già all’inizio, poi anche in tutti i tempi successivi della storia del cristianesimo il vangelo può trovare sempre da capo la lingua per dirsi soltanto perché ci sono quelli che credono. Appunto questo sono i santi: non i più ‘bravi’ - più bravi, s’intende, alla luce di criteri noti a tutti e da sempre - ma coloro che danno un volto in questo mondo a quel Dio che nessuno ha mai visto. Le beatitudini sono la testimonianza più chiara di questa necessità di Gesù. Esse infatti nascono nella mente di Gesù non da una miracolosa ispirazione celeste, ma dallo spettacolo che offrono ai suoi occhi i poveri lo ascoltano. Essi evidentemente capiscono quello che egli dice; non solo capiscono, ma credono, si rallegrano; per loro pare evidente la verità del suo vangelo. Quel che accade ai poveri accade anche a tutti quelli che molti motivi piangono e vivono in questo mondo con una fame insoddisfatta. Dalla loro testimonianza Gesù apprende quale sia la via della beatitudine, che propone a tutti. Le beatitudini sono formule abbreviate. Che cosa voglia dire essere poveri nello spirito, affamati di giustizia, miti, puri di cuore, costruttori di pace, non si può apprendere mediante lunghe spiegazioni. Si deve invece apprendere attraverso la sempre rinnovata meraviglia che suscita la testimonianza di coloro che queste cose hanno vissuto, o tuttora vivono.

La dimenticanza dei santi, lo scarso interesse dei cristiani per questi testimoni, la stessa difficoltà di trovare biografie convincenti, che è a sua volta un indice del fatto che pochi giudicano degna di interesse l’opera di cercare nella loro vita la verità del vangelo: tutto questo documenta ancora una volta una malattia della nostra epoca: la presunzione che la verità possa essere conosciuta senza passare per la testimonianza della vita. La presunzione è smentita poi nella vita di ogni giorno: mai come oggi infatti la persona vivente del santo – e cioè di chi è buono, paziente, pacifico, puro di cuore – è assediata e spremuta dai fratelli. Spremuto, come spremuto era Gesù. Spremuto, e molto meno imitato; ancor prima, molto meno interrogato a proposito di Dio e della via per tornare alla sua casa.

Testi consultati

-    Cremona, C. I santi non stanno in cielo. Milano: Moondadori, 2022;  
-    Rappei, I. I Santi che ci aiutano. Milano: Mediterranee, 1992; 

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
Emaiol: prof_biblio_lodesal@yahoo.com