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Quando politica non vuol dire fiducia: Gli italiani sono pessimisti sul futuro del Paese

Nando Pagnoncelli, nel primo dei "Colloqui di comunicazione politica" organizzati da Cattolica e Statale, ha spiegato che gli italiani sono ottimisti per se stessi, ma pessimisti per il paese

È un’Italia ambivalente quella in cui la comunicazione politica influenza la strategia del consenso e il livello di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nelle forze politiche. Con risultati che variano da persona a persona. È questa la conclusione tratteggiata al termine dei Colloqui di comunicazione politica, un’iniziativa promossa lo scorso 5 marzo, dai professori Patrizia Catellani e Fausto Colombo dell’Università Cattolica e dall’Università degli Studi di Milano, patrocinata dalla rivista Comunicazione Politica. Una proposta all’avanguardia negli studi sociologici e politologici che, come sottolinea Alberto Quadrio Curzio, preside della facoltà di scienze politiche della Cattolica, rappresenta un unicum nel panorama accademico italiano. Il tema è di quelli che scottano, soprattutto in un periodo come questo, in cui la crisi economica mina la fiducia degli italiani nei confronti del potere e del prossimo futuro. Nando Pagnoncelli (foto sotto), amministratore delegato dell’Ipsos e docente di Modelli e processi della pubblica opinione in largo Gemelli, precisa: «Il problema della fiducia si propone già nel 2002. Oggi, però, i motivi che generano questo fenomeno sono diventati più urgenti». In testa alla classifica dei fattori che preoccupano gli italiani ci sono il precariato e la paura di perdere il posto di lavoro. Diversamente da quanto ci si possa aspettare, la questione sicurezza è citata solo dal 21% degli intervistati. Dai dati snocciolati da Pagnoncelli, l’ambivalenza del nostro paese emerge dalla differenza di opinione che gli italiani hanno sullo scenario futuro a livello nazionale e individuale: la maggior parte del campione, infatti, è convinto che la propria situazione personale sia destinata a migliorare nei prossimi tre anni, a differenza della condizione del paese, destinato a rotolare sempre più verso il basso.
 
Che la mancanza di fiducia non sia una novità ne è convinto anche Gianpietro Mazzoleni, docente di comunicazione politica presso l’Università degli studi di Milano: «Già negli anni ’70 e ’80 si puntava il dito contro le istituzioni. Oggi i cittadini si dividono in due gruppi: i pessimisti e gli ottimisti». Secondo Fausto Colombo, docente di teoria e tecnica dei media all’università Cattolica, quello che differenzia la situazione di oggi da quella dei decenni scorsi è il passaggio dalla democrazia della rappresentanza alla democrazia del consenso: «L’opinione pubblica si disinteressa delle vicende politiche. Si limita a esprimere un voto senza preferenza e alla fine si allontana completamente, annoiata da un’adesione politica trasformatasi in tifo. Inutile dire che tutto questo comporta la crisi delle democrazie occidentali». Insomma, la politica sempre più simile a una gara calcistica, a un vero e proprio teatrino tutto chiacchiera. In questo, il ruolo che giocano i media è fondamentale. Lo sottolinea bene Francesco Casetti, docente di pragmatica della comunicazione mediale all’Università Cattolica: «La fiducia è anche un problema di comunicazione, che lega due o più soggetti. Per questo motivo è risposta non su qualcosa, bensì su qualcuno». Come tutte le relazioni, anche la fiducia è una virtù temporale. «Cresce e si modifica gradatamente con il passare del tempo. A questa gradualità, si affianca una fitta articolazione, che permette di individuare diversi livelli: si va dalla fiducia assoluta alla sfiducia totale. In mezzo ci sono stadi di fiducia imperfetta», conclude Casetti.
 
L’aspetto relazionale della fiducia è determinante anche per Guido Gili, professore ordinario dell’università del Molise: «Quello che spinge una persona a riporre la propria fiducia in qualcun altro può dipendere da una competenza specifica di questo soggetto, che lo rende affidabile e preparato, dalla condivisione degli stessi valori politici e personali, dalla sua capacità di presentarsi come una persona qualunque, con affetti e amicizie sincere». Ecco allora che emerge un’altra componente della comunicazione politica: la personalizzazione della politica stessa, dovuta sia al cambiamento delle leggi elettorali, che all’indebolimento delle grandi ideologie. A fronte di questa radicata personalizzazione, un politico deve essere anche un abile comunicatore, per aggiudicarsi la fiducia e il consenso dei cittadini.
 
Una qualità che emerge chiaramente dai primi risultati di alcune ricerche effettuate da Patrizia Catellani, docente di Psicologia della comunicazione all’Università Cattolica: «A livello teorico, la qualità più apprezzata in un politico è la sua onestà. Ma la realtà dimostra che risulta più efficace il politico in grado di difendere le proprie idee con convinzione». Dalle indagini della professoressa Catellani risulta che, durante un dibattito politico, ha la meglio chi riesce ad attaccare continuamente l’avversario con accuse indirette, purché non siano percepite dagli ascoltatori come chiari insulti. L’abilità comunicativa di un politico paga anche quando riesce a ribaltare a proprio favore una circostanza negativa: evidenziando tutti i punti positivi, otterrà l’apprezzamento di molte persone.
 
Per i sociologi presenti al dibattito tutti questi fattori portano a un progressivo scollamento tra politica e società, mentre per giornalisti e politici tutto ciò rientra nella logica della sana competizione politica, che porta il cittadino a fare una scelta in modo libero e consapevole. C’è un elemento, però, su cui tutti sono d’accordo: la fiducia e il consenso passano attraverso la comunicazione. E, quindi, passano attraverso i media. (Daniela Maggi/Università Cattolica del Sacro Cuore)