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La globalizzazione

Di Alessio Lodes

 Il vocabolo “globalizzazione” è sulla bocca di tutti; è un mito, un’idea fascinosa, una sorta di chiave con la quale si vogliono aprire i misteri del presente e del futuro; pronunciarla è diventato di gran moda. Per alcuni, “globalizzazione” vuol dire tutto ciò che siamo costretti a fare per ottenere la felicità; per altri, la globalizzazione è la causa stessa della nostra infelicità. Per tutti, comunque, la “globalizzazione” significa l’ineluttabile destino del mondo, un processo irreversibile, e che, inoltre, ci coinvolge tutti alla stessa misura e allo stesso modo. Viviamo tutti all’interno della “globalizzazione”, ed essere “globalizzati” vuol dire per ciascuno di noi, più o meno, la stessa cosa. 

Con queste parole Bauman inizia la descrizione di quello che oggi è il fenomeno mondiale per eccellenza, la globalizzazione, effetto e causa della nuova società che si pone oltre la società moderna, e che ancora non può essere descritta in modo certo ed univoco perché ancora al centro di un intenso dibattito che vede contrapposte diverse posizioni, tra le altre, in termini giddensiani, quelle di scettici e radicali. Gli scettici, secondo la descrizione di A. Giddens, sono appunto coloro che vedono nella globalizzazione soltanto delle “chiacchiere” in quanto fenomeno non nuovo ma che si ripete uguale anche se apparentemente diverso, in ogni epoca storica, è quindi un mito, perpetrato da chi ha interessi, naturalmente economici, da difendere, un trucco, quindi, ideato dai sostenitori del libero mercato per smantellare il welfare e tagliare alla radice le spese dello stato.

I radicali, al contrario, sostengono che la globalizzazione non solo è qualcosa di estremamente concreto, ma la possiamo vedere, anzi quasi toccare, in quelli che sono i suoi innegabili effetti tangibili nel mercato globale, nella perdita di sovranità degli stati nazionali e nella loro conseguente incapacità di agire sugli eventi governati invece da questo grande processo che sembra quasi personalizzarsi al punto da sovrastare e governare, autonomamente, la vita globale ma anche locale e quotidiana delle persone. La conferenza di Seattle del 1999 e il G8 di Genova del 2001 ci hanno fatto conoscere, in modo drammatico, il grande movimento che si oppone alla globalizzazione, i cosiddetti “no-global”, che esprime dissenso sulla base del grande divario, sia culturale che economico, che la globalizzazione ha accentuato fra nord e sud del mondo, della mancanza di rispetto e degli abusi che si sono compiuti e si continuano a compiere in nome del progresso, del continuo tentativo di raggiro dei consumatori, cioè di tutti noi, per quanto riguarda soprattutto prodotti alimentari e farmaceutici. Tutto questo solamente ai fini di maggiori profitti che avvantaggiano unicamente il mercato e i più forti fra coloro che si battono nell’arena economica mondiale sempre di più contraddistinta da incertezza e instabilità che mettono in difficoltà tutti quanti, e in special modo i paesi in via di sviluppo. La nostra società può essere definita magmatica, termine che rende l’idea di quanto essa sia instabile nell’avvicendarsi di processi e fenomeni talmente variegati da renderne difficile tanto la comprensione quanto la spiegazione, ma è facile capire quanto, al di là degli oppositori, la globalizzazione sia ormai inarrestabile, quello che appare oggi più urgente è, caso mai, farla funzionare, indirizzarla verso l’interesse non di gruppi particolari, quelli dei grandi capitali e delle multinazionali, ma quello di tutti i cittadini del mondo, sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. Quello che cercheremo di fare in questo lavoro è uno studio, che certamente non ha la pretesa di essere esaustivo né completo, di come la globalizzazione influenzi l’evoluzione della società nel suo complesso, della politica degli stati nazionali, dei cittadini di ogni singolo stato nella consapevolezza che non siamo ancora giunti alla fine della storia.

La società attuale non può essere percepita altrimenti se non come una tappa intermedia e superabile dell’evoluzione sociale, un punto di arrivo che in realtà è soltanto un punto di partenza verso una nuova e migliore forma di coesione sociale, alla quale ognuno di noi deve contribuire; deve compiere ogni sforzo per raggiungere, in una società di uguali, la progressiva conquista della felicità umana attraverso lo sviluppo. Ma lo sviluppo non è automatico, anzi, è complesso e difficile e, dando ormai per assodato che il libero commercio non favorisca di per sé il benessere, in quest’epoca di cambiamento occorre trovare un giusto equilibrio fra autorità politica ed economia; un’autorità politica che si è vista ridurre di importanza a favore di una liberalizzazione selvaggia, ad un’assenza di regole che ha causato nuove sperequazioni e nuove disuguaglianze facendo dimenticare a tutti quanto sia importante la costruzione ed il funzionamento di un sistema economico e politico internazionale basato su valori e principi. La diffusione delle norme cosmopolitiche, dalla proibizione dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e del genocidio alle crescenti regolamentazioni degli spostamenti transfrontalieri attraverso le Convenzioni di Ginevra e altri accordi, ha prodotto una nuova condizione politica: il locale, il nazionale e il globale si sono intrecciati l’uno con l’altro.

In questo modo si potrebbe arrivare ad un sistema internazionale veramente democratico in cui la politica continui a dirigere la vita di una comunità allargata ma che ha ben presente le regole illuministe di uguaglianza, fratellanza e libertà faticosamente conquistate in molti stati occidentali e finalmente, grazie alla costituzione della nuova rete globale, garantite a tutto il pianeta grazie a quella globalizzazione democratica che rende le interconnessioni e le interdipendenze più profonde e più ampie. Una situazione che non si presenta certo come una minaccia per la sovranità democratica, ma come la promessa che emergeranno nuove configurazioni politiche e nuove forme di esercizio della capacità di agire, ispirate dall’interdipendenza, mai senza attriti, ma sempre promettenti, fra il locale, il nazionale e il globale per trasformare la globalizzazione economica in una forza positiva, capace di incentivare la crescita e di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, anche di quelle più povere del pianeta. Le estreme disuguaglianze di reddito e ricchezza che si osservano nel mondo nella nostra epoca condannano milioni di persone a carenze sanitarie e di speranza di vita, di istruzione, abitazione, qualità della vita e, conseguenza non meno importante, li condannano a non essere ascoltati da nessuno, a non avere voce in capitolo nelle decisioni che li riguardano.

Fino ad oggi gli stati nazionali sono stati incapaci di fronteggiare i cambiamenti prodotti dalla globalizzazione, hanno anzi fatto aumentare le disuguaglianze e le povertà, anche e soprattutto attraverso politiche servili nei confronti degli imperi economici, divenuti, sempre grazie alla globalizzazione, i veri padroni della politica riuscendo ad imporre una visione di perdita e guadagno secondo la quale i diritti e i benefici conquistati dai cittadini e garantiti dallo stato benefattore, devono essere drasticamente ridotti perché considerati voci negative di bilancio. Sotto la scure del profitto ad ogni costo sono caduti i paesi in via di sviluppo, depredati delle risorse senza nulla in cambio, ma anche i paesi sviluppati, all’interno dei quali un certo livello di benessere era stato raggiunto anche grazie ad istituti, come il Welfare State, che garantivano un minimo di protezione a tutti i livelli. Partendo dall’erosione dello stato sociale si è inaugurata una nuova era della politica votata sempre di più alla punizione di chi è senza mezzi che non all’aiuto sociale dei più deboli, politica che ha avuto come conseguenza immediata la crescita di sfiducia e l’allontanamento dei cittadini dalle istituzioni e dalla politica stessa, viste sempre di più come qualcosa di inutile se non addirittura di dannoso per la vita sociale. Forse è ora di ammettere che si è costruito un mondo ferocemente iniquo, ma per far questo occorre un cambiamento di rotta, un ripensamento degli accordi commerciali, delle politiche economiche imposte ai paesi in via di sviluppo, degli aiuti internazionali, del sistema finanziario globale. Ma occorre anche un cambiamento politico nella vita di ogni stato; occorre un cambiamento degli stati, non più concepiti come centri di potere autonomi, ma come nodi di una rete globale che non operano più solamente a livello nazionale ma devono diventare globali e locali allo stesso tempo perché i confini entro cui lo stato nazionale ha operato in epoca moderna si sono oggi fluidificati e caratterizzano la nuova condivisione della sovranità e delle responsabilità tra diversi stati e livelli di governo che opera attraverso l’istituto della governance, unica prospettiva di adeguamento della politica ad una visione globale della vita sociale.

Testi consultati:

-    A. Borghini. Globalizzazione e flessibilità. Nuove modalità produttive nell'economia mondiale in: Homo Instabilis,  a cura di Mario Aldo Toscano. Milano: Jaca Book, 2007;
-    R.Castel. L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti? - Einaudi, Torino, 2004
-    F. Fukuyama. La fine della storia e l'ultimo uomo. Milano: Edizioni Bur, 2007;
-    A. Giddens Le conseguenze della modernità. Bologna: Il Mulino, 1994;
-    M. Paci. Nuovi lavori, nuovo Welfare. Bologna: Il Mulino, 2005;
-    S. Paone. Le trasformazioni dello spazio urbano nell'era della flessibilità – in Homo Instabilis. Milano: Jaca Book, 2007;
-    L. Pennacchi. La moralità del Welfare. Roma: Donzelli, 2008,
-    R. Sennet.  La cultura del nuovo capitalismo. Bologna: Il Mulino 2006,
-    S. Parker. Teoria ed esperienza urbana. Bologna: Il Mulino, 2006;
-    Weber, M. Economia e società. Torino: Einaudi 1999;
-     Weber, M Storia economica. Linee di una storia universale dell’economia e della società  Edizioni Donzelli, Roma: Edizioni Donzelli, 1997.

Prof. Alessio Lodes 
Pordenone (Italia)
Email: arch.biblio.lodes@tiscali.it