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Dia Internacional da Mulher: Un 8 marzo complicato

Para além das declarações e dos dados  ufanistas do establishment, veiculados pela grande mídia, comprometida e/ou dissociada da realidade, a data de oito de março, oficializada como Dia Internacional da Mulher (a existência de uma data comemorativa é a própria sinalização da distorção discriminatória que regula as relações homem/mulher na sociedade), deve ser encarada apenas como um momento de reflexão. Não há nada a comemorar, porque os poucos avanços conquistados pela mulher não podem ser encarados como conquistas, mas como uma mera reposição de direitos e de justiça. Por isso, o artigo da jornalista  Marta Ajò, sócia-fundadora e redatora  da agência de informação Italian Network, publicado pelo  Dol’s, apesar de algumas especificidades relacionadas à situação italiana, é universal porque é cruamente verdadeiro e realista.

Questo 8 marzo dovrebbe essere, più che festeggiato, vissuto come un giorno di consapevolezza.
 
La ricorrenza dell’8 marzo, come giornata delle donne, è festeggiata ormai da molti decenni.

Però, mai come oggi, viene da domandarsi perché e cosa ci sia da festeggiare.

Se questa giornata vuole mantenersi un fatto puramente simbolico, possiamo anche accettare di condividerla, ma se si vuole festeggiare motivandola con un dato concreto e riconoscibile, c’è da avere qualche perplessità.

Parliamo di violenza.

Non passa anno, mese, giorno, che la cronaca non sia segnata da casi di violenza fisica: omicidi,  stupri,  segregazione e schiavitù perpetrati contro le donne. Non importa di quale nazionalità siano né a quale fascia sociale appartengano perché il loro peggior nemico è il genere.

Parliamo di libertà.

Essa, lo sanno bene le donne, è ancora oggi condizionata da molti fattori, che appaiono quasi desueti in una società civile, economicamente avanzata, almeno nei modelli, e in un’era di globalizzazione.

Ebbene esse invece fanno ancora i conti con discriminazioni sul piano del lavoro; del salario; dei  servizi e della cultura.

Ma la libertà non è solo quella economica. E’ la libertà individuale, quella che deriva dalle proprie scelte che viene ancora contestata alla donna.

Ci sono voluti anni di battaglie, di leggi, di impegno nelle istituzioni, nelle rappresentanze politiche, nei referendum, per acquisire alcuni diritti inviolabili, come quello dell’aborto, che non si può negare riguardi in prima persona la donna. Eppure tutti vogliono mettere bocca, vogliono dire la loro.

Le donne non rifiutano di confrontarsi e su una questione così delicata, che coinvolge tanti aspetti, come potrebbero sottrarsi ad un pacato confronto.

Sia che esso passi in Parlamento sia attraverso altre istituzioni, laiche, religiose o scientifiche; perché il confronto è proprio della democrazia, la stessa e che dovrebbe garantire principi di libertà e di parità.

Ma quando questi settori vogliono ergersi ad unici ed insindacabili detentori di una verità che neppure conoscono sulla propria pelle, allora, certamente le donne non possono tacere, come non lo fecero negli anni passati.

Ecco perché questo 8 marzo dovrebbe essere, più che festeggiato, vissuto come un giorno di consapevolezza , non solo di commemorazione;  riaffermando che per festeggiare qualcosa, ci dovrebbe essere l’indicatore della festa.

Ci sarebbe piaciuto che fosse stato la volontà di mantenere la legge 194 come conquista civile  senza riproporre vecchi slogan, vecchie barriere, vecchie ed artificiose divisioni fra donne e gruppi sociali.
Un 8 marzo complicato, questo.

Eppure ci sarà ancora chi, magari per campare, magari per riappacificarsi, magari solo per formalità venderà o porterà il solito, micragnoso, qualche volta già secco, mazzolino di mimose alle donne.(Marta Ajò/Dol's)