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Perchè leggere i classici?

A volte ci chiediamo, o ci sentiamo chiedere, perché mai dovremmo leggere opere di autori vissuti lustri, decenni o secoli fa: cosa possono dirci di un mondo che non hanno mai visto e che noi reputiamo (a torto o a ragione, ora non importa) completamente diverso dal loro? A cosa serve leggere dunque un classico? La domanda “perché devo leggere i classici?”, insomma, diventa foriera di panico, come quelle che ci fanno i bambini e che, nella loro sadica semplicità, ci spingono a chiuderli nello sgabuzzino per evitare di ruminare risposte introvabili.

Per aiutarci di fronte ai diversi dubbi, ci hanno insegnato a utilizzare il vocabolario. Quello Treccani, tra le definizioni di “classico”, riporta:

«Per estens. (spesso sostantivato), perfetto, eccellente, tale da poter servire come modello di un genere, di un gusto, di una maniera artistica, che forma quindi una tradizione o è legato a quella che generalmente viene considerata la tradizione migliore; con riferimento ai più importanti autori delle letterature moderne e alle loro opere: i c. italiani; una collezione di c. francesi; lo studio dei c. tedeschi, ecc.; e, per altre discipline: un pittore c.; un musicista c.; i c. della scultura italiana (analogam., nell’uso più recente: un c. dello schermo, un c. dei romanzi gialli, e sim.); un c. è un’esperienza radicale, un incontro che ci modifica, non un ritrovamento di aspetti reperibili in altri.»

Non so se possa aiutare, però, il vocabolario; anche se la definizione di Pontiggia una mano la dà. Italo Calvino, in questo libro che è più utile di una bussola nel deserto, scrive:

«[…] non si creda che i classici vanno letti perché “servono” a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.

E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran […]: “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. – A cosa ti servirà? – gli fu chiesto. – A sapere quest’aria prima di morire.”»

E se troviamo un interlocutore particolarmente devoto all’efficientismo, per il quale la (apparente) gratuità di un semplice gesto non ha senso di esistere, possiamo anche dirgli – per farlo contento – che un classico è come un paio di occhiali per un cecato: ti fa vedere meglio il mondo, anche se spetta poi a te capirlo. Ma questo interlocutore presso cui cerchiamo appoggio (o, come si dice oggi, endorsement), che potrebbe essere l’amministratore delegato (o ceo) di una arrembante azienda, potrebbe riprendere la domanda iniziale, e appesantirla con un’obiezione a cui sarebbe ancora più difficile rispondere: la mancanza di tempo; Calvino scrive:

«“Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo?” e “Dove trovare il tempo e l’agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell’attualità?”

Certo, si può ipotizzare una persona beata che dedichi il “tempo-lettura” delle sue giornate esclusivamente a leggere Lucrezio, Luciano, Montaigne, Erasmo, Quevedo, Marlowe, il Discours de la Méthode, il Wilhelm Meister, Coleridge, Ruskin, Proust e Valéry, con qualche divagazione verso Murasaki o le saghe islandesi. Tutto questo senza aver da fare recensioni dell’ultima ristampa, né pubblicazioni per il concorso della cattedra, né lavori editoriali con contratto a scadenza ravvicinata. Questa persona beata per mantenere la sua dieta senza nessuna contaminazione dovrebbe astenersi dal leggere i giornali, non lasciarsi mai tentare dall’ultimo romanzo o dall’ultima inchiesta sociologica. Resta da vedere quanto un simile rigorismo sarebbe giusto e proficuo. L’attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti e indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire “da dove” li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d’attualità.

[…] Forse l’ideale sarebbe sentire l’attualità come il brusio fuori dalla finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi meteorologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza. Ma è ancora tanto se per i più la presenza dei classici s’avverte come un rimbombo lontano, fuori dalla stanza invasa dall’attualità come dalla televisione a tutto volume.

Calvino non ci fornisce, dunque, una risposta didascalicamente esaustiva: forse perché non esiste o non avrebbe senso; o forse perché sarebbe sciocca. Ci dà però tante risposte quanti sono i piccolo saggi/recensioni/articoli che compongono il libro: trentacinque. Possiamo così leggerlo aprendo a casaccio le pagine, incontrando riflessioni su Gadda come su Senofonte, su Galileo e su Borges, su Hemingway e Ovidio… ma anche su autori oggi esplorati meno, rispetto ai soliti grossi nomi: Plinio Il Vecchio, Nezami, Gerolamo Cardano, Giammaria Ortes e molti altri.

Testo consultato

Calvino, I. Perche’ leggere i classici. Milano: Mondadori, 2010. 

Prof. Alessio Lodes
prof_biblio_lodesal@yahoo.it
Pordenone (Italia)