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Il potere navale della Grecia

Triremi

Chi è padrone del mare diviene padrone di tutto. Molto prima che Cicerone pronunciasse queste parole i greci l’avevano già capito fin troppo bene. Nel V secolo a.C. Atene mobilito’ ogni mezzo per trasformare il Pireo nel porto militare più importante della Grecia. I suoi edifici non avevano nulla da invidiare allo splendore dei templi centenari, perché vennero progettati per ospitare la maggiore armata del mondo ellenico. Nelle darsene riposavano non meno di trecento triremi, le navi da guerra piu famose dell’antichità.

La trireme fu il frutto del continuo progresso della tecnologia navale greca. Nell’Illiade Omero menziona delle imbarcazioni dette triacontere o pentecontere a seconda del numero di rematori utilizzati (trenta l cinquanta), come pure biremi con due file di vogatori. Ma fu a partire dagli inizi del VII secolo a.C. che l’esperienza, applicata allo sviluppo tecnico, favori l compara di un modello di nave decisamente più avanzato: la trireme, termine derivato dal greco tríeres, che ne indicava le tre file di reni. Tali navi venivano concepite dai greci come esseri viventi dalla natura in parte sacra. Per questo ricevevano un nome, quasi sempre femminile. I caratteristici occhi, collocati su entrambi i lati della prua, o prora, servivano per trovare “la strada nel mare”, le gru che spuntavano dallo scafo erano le “orecchie” e le vele le “ali”.

Più rapide e stabili delle imbarcazioni precedenti, le triremi avevano diverse funzioni a seconda dello stato di conservazione in cui si trovavano.

Quelle più recenti venivano tenute per le battaglie, mentre le più danneggiate si utilizzavano per mansioni come la ricognizione e il trasporto. Ad Atene c’erano due triremi principali, la Salamina e la Paralo, navi di bandiera della flotta particolarmente curate, a cui si ricorreva per missioni diplomatiche o rituali, come per esempio quella di trasportare gli atleti ateniesi che ogni quattro anni partecipavano alle Olimpiadi.

Se custodite adeguatamente, potevano rimanere in servizio tra i venti e i venticinque anni prima di essere smantellate o vendute come “eccedenze di guerra”, anche se ci furono casi d’imbarcazioni che resistettero fino ad ottant’anni. Il loro costo di fabbricazione era molto elevato, corrispondente a più di un talento, ovvero seimila dracme, circa ventisei chili d’argento. Per questo motivo le navi nemiche erano un ambito bottinò di guerra. Anche mantenere l’equipaggio che poteva arrivare a contare finanche duecento uomini, era molto dispendioso, giàcche i salari mensili prevedevano l’esborso  di un altro talento. 

La massima autorità a bordo era il trierarca, il capitano, scelto tra i cittadini più abbienti per svolgere l’incarico per un anno. Il trierarca doveva pagare di tasca propria parte del costo della campagna. Era al comando di altri cinque ufficiali: l’ipotrierarca  o secondo ufficiale, il pilota o cibernetica, il proreta o ufficiale di prora e sorveglianza, il comandante dei rematori e il tesoriere. C’erano anche una decina di marinai e qualche militare (dieci opliti e quattro arcieri). Il resto dell’equipaggio, cioè 170 uomini, era costituito da rematori.

Si calcola che nella flotta ateniese ci fossero più di 50mila vogatori. In pochi erano schiavi o stranieri, visto che la maggior parte di essi apparteneva alla classe dei teti, cioè dei cittadini dalle poche risorse ed incapaci di affrontare i costi richiesti per combattere da soldati. Lo sviluppo dell’annata come grande baluardo della democrazia ateniese durante il V secolo a.C. consenti a questa classe sociale di esercitare una maggiore influenza sull’aristocrazia. Non è un caso che a quell’epoca i cittadini ateniesi iniziassero a considerare i loro capitàni come “timonieri” che guidavano “la nave dello stato”.

La partenza della flotta, al comando di uno o più ammiragli (strategoi), era un evento importante per la città. Grazie all’allenamento e alla disciplina, i membri dell’equipaggio si disponevano ai loro posti con una velocità straordinaria, in soli trenta secondi, in base ad una simulazione moderna e verificavano poi il corretto funzionamento delle attrezzature, degli strumenti e delle armi. Aveva quindi inizio una cerimonia religiosa che avrebbe assicurato il favore degli dei durante la nuova traversata. Un sacerdote era incaricato di celebrare il sacrificio degli animali prima che il trierarca intonasse una preghiera ed un inno in onore delle divinità. 

Alla fine, come offerta, si spargeva una coppa di vino sulla prua e sulla poppa.

Durante il viaggio i rematori seguivano gli ordini del keleustes, che venivano impartiti a voce alta o colpendo un ceppo con una mazza. Quando lo strepito del mare o della battaglia ne impediva l’ascolto si ricorreva all’aulos, uno strumento a fiato ad ancia doppia con cui si segnava il ritmo della vogata. I rematori stessi si coordinavano tra di loro grazie a canti tradizionali e i casi di ammutinamento erano rarissimi: per questo motivo l’equipaggio della trireme avrebbe reagito gettando in mare qualsiasi keleustes che avrebbe provato ad usare la frusta.

Visto il faticosissimo lavoro al quale erano sottoposti, era necessario che i rematori fossero nutriti ed idratati a sufficienza. La loro dieta includeva pesce in salamoia, torte salate d’avena, vino, formaggio, verdure e circa sette litri d’acqua al giorno.

Testi consultati: 

Ávila , Filippo. Atlante delle navi greche e latine. Torino: UTET, 2018;

Snell, Bruno. La cultura greca e le origini del pensiero greco. Milano: Einaudi, 2000.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
Email: prof_biblio_lodesal@yahoo.com